Mzungu


La Tanzania di Ilenia

Ilenia Giampaoli, terminato il suo periodo di ferie trascorso in Italia con la sua famiglia e con i suoi amici, è rientrata in Tanzania dove resterà per completare il suo anno di Servizio Civile Internazionale, fino ad agosto. Dopo il nostro incontro presso la Casa delle associazioni di Fermo, dove ha potuto raccontarci direttamente la sua esperienza africana, continua ad inviarci le sue riflessioni e le sue esperienze. Molto interessante questo testo dedicato al senso di sradicamento che sempre si prova ad essere “stranieri” in un paese non proprio.

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Mzungu” letteralmente viene tradotto con “uomo bianco”. Deriva dal verbo “kuzunguka” che significa “girare intorno”. L’uomo che girava intorno durante il periodo coloniale era proprio l’europeo colonizzatore, che supervisionava i lavori degli schiavi. Il segno del dominio coloniale è rimasto e tutt’ora “mzungu” è l’unica parola che in lingua swahili denota i bianchi. Esistono parole come “waitalia” (itialiani), “waingeresa” (inglesi), ma non vengono usate perché fa riferimento all’appartenenza di una persona a un determinato territorio, invece in Tanzania un popolo si definisce per una sua qualità, per qualcosa che lo distingue dagli altri. Mzungu quindi sta ad indicare tutti i bianchi perché sia che fossero inglesi o tedeschi (le due nazioni che hanno colonizzato la Tanzania), tutti i bianchi che venivano, venivano per sfruttarli, così per loro non c’era differenza. Oggi questa parola ha perso il suo significato originario anche se rimane invariata. Questo è dimostrato anche dall’accoglienza calorosa che i tanzaniani danno agli ospiti. Qui prima di iniziare un discorso c’è un vero e proprio rito dei saluti, che consiste nell’assicurarsi che la persona con cui stai parlando stia bene, che la sua famiglia sta bene e che il lavoro va bene.

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Sicuramente non si passa inosservati con la pelle bianca, per strada Mzungu è la parola che mi sento dire di più, dai bambini o da chi semplicemente vuole chiamarti. Incontri i ragazzi che lo fanno per divertirsi, che anche se ti presenti e gli dici come ti chiami continuano a chiamarti mzungu, ma ci sono anche bambini che lo fanno solo per chiamarti perché vogliono giocare con te. Un giorno Leah, una bimba del centro Kipepeo, mentre giocavamo sull’altalena non faceva altro che chiamarmi mzungu, ma io sono Ilenia non sono Mzungu, così ho provato ad insegnarle il mio nome, mi sono presentata in swahili e continuavo a ripeterle il mio nome. Da quel giorno Leah non mi ha più chiamata mzungu, ma “Nelia”.

Per strada inoltre non puoi non notare anche gli sguardi che ti fanno sentire diverso. Newton, il ragazzo tanzaniano che lavora al centro Sambamba, mi ha spiegato che in generale i tanzaniani vedono gli europei come persone piene di soldi, abituate ai comfort e fisicamente fragili, incapaci di fare lavori manuali. Tutto questo infatti l’ho provato su me stessa, ogni giorno e in ogni occasione, da quando vai a fare la spesa al mercato, che il prezzo per me è sempre più alto per ogni cosa, o quando non vogliono darti il resto perché tanto tu i soldi ce li hai. Un giorno ho avuto l’occasione di accompagnare le operatrici del centro a prendere l’acqua, visto che al centro non ce n’era più. In due riuscivano a trasportare un enorme secchio pieno di acqua, quando le ho aiutate per alzarlo e metterlo nel pulmino quasi che si sono meravigliate, mi hanno fatto i complimenti e mi hanno detto che ho la forza per poter sposare un tanzaniano.

Ilenia 17Stando qua ho capito veramente cosa si prova quando si viene trattati da diverso, cosa significa non essere per qualcuno una persona con un nome e delle proprie idee, ma essere distinta soltanto per il colore della pelle e far parte di uno dei tanti stereotipi che sono stati creati ingiustamente e non posso non pensare a come si sentono tutte quelle persone trattate da diversi ogni giorno nel nostro paese.

 

Ilenia