La Tanzania di Ilenia


Un anno di servizio civile in Tanzania

Ilenia Giampaoli è una ragazza di Porto Potenza Picena, con la passione per l’Africa da sempre nel cuore. Da qualche mese si trova in Tanzania.

Ilenia 4aFiniti gli studi in infermieristica ha deciso di intraprendere l’esperienza di volontaria in servizio civile con L’Africa Chiama, associazione di Fano, e da un mese ha iniziato il suo anno di Servizio Civile Internazionale, in Tanzania ad Iringa dove collabora in progetti con bambini disabili e malnutriti.

Nel 2014 ha frequentato il corso di formazione annuale organizzato da ALOE, Il senso del partire. Ci piace pertanto considerarla parte della nostra grande famiglia allargata. In accordo con l’associazione L’Africa chiama, Ilenia ha accettato la nostra proposta di raccontarci di tanto in tanto la sua esperienza africana, per aiutarci a sensibilizzare il nostro territorio sulla solidarietà internazionale.

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Martedì 17 Novembre 2015.

É già passato un mese dall’inizio di questa nuova esperienza. Sembra ieri che dal finestrino dell’aereo guardavo i tetti di lamiera che spiccavano su quella terra rossa. Con una voglia immensa di mettere piede per la prima volta in questa terra che ti affascina e ti conquista senza neanche capirne il motivo. Arrivata a Dar è iniziato il vero viaggio verso Iringa, la città dove abiterò per i prossimi 9 mesi ormai. Sono 10 ore di autobus che mi hanno dato l’opportunità di vedere una piccola parte di questa stupenda nazione, passando tra villaggi, parchi naturali e villaggi masai.

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Iringa è una piccola città in cima ad una montagna. Abituarmi non è stato difficile, alla fine offre le cose principali che ti permettono di sentirti a casa, l’unico vero problema la lingua. In pochi parlano inglese e comunque la maggior parte ne hanno soltanto una conoscenza base base e lo swahili non è proprio facilissimo. L’associazione in cui svolgo il mio servizio ha un centro in un villaggio vicino la città, Ipogolo. Primo giorno giriamo per il villaggio per prendere i bambini disabili da portare al centro per le terapie. Non saprei da dove iniziare, per me è la prima esperienza in Africa e nonostante la formazione fatta e tutti gli altri incontri seguiti non riuscivo ancora ad immaginare cosa aspettarmi. Semplicemente perchè per noi alcune cose sono anche solo difficili da immaginare. Le stradine del villaggio sono piene di piccole “bancarelle” che vendono di tutto: dalla frutta e verdura, al pesce essiccato, pezzi di carne di non so quale animale appesi lì e magari ricoperti da mosche, ma non solo. Mille banchetti che vendono ricariche telefoniche di tutti gli operatori, auricolari, tutti i tipi di accessori per i cellulari, ciabatte, vestiti e cose per la casa.

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Quelli sono i loro negozi e lo ammetto all’inizio ho fatto difficoltà ad abituarmi ad andare a far spesa per queste bancarelle. Sicuramente non si può non notare che in un villaggio così, dove la maggior parte delle case non hanno acqua e corrente, tutti però hanno il cellulare e non fanno altro che stare al telefono o ascoltare musica. Al centro ho avuto la possibilità di informarmi sulla condizione familiare di tutti i bambini disabili e malnutriti che fanno parte del progetto e sono circa sessanta in tutto. La maggior parte sono figli di mamme che sono state abbandonate dai mariti, altri sono orfani e vivono da nonni o zii che non li considerano, altri hanno i genitori che producono vendono e bevono alcol. Il problema dell’alcol nel villaggio non è da sottovalutare, spesso le mamme che accompagnano i bambini al centro si sente che hanno bevuto. Tra le varie attività del centro ho anche avuto l’occasione di andare a visitare qualche bambino a casa, la loro ospitalità è la cosa che più ti colpisce. Una famiglia, non potendoci ospitare nella loro casa fatta di fango e paglia, ci ha comunque accolto creando un piccolo salottino con tappeti e sgabelli sotto un enorme albero.

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Tra i bambini di cui si prendevano cura i nonni, oltre al bambino disabile seguito dall’associazione, il più piccolino era evidentemente malnutrito, classico pancione e viso arrotondato. Abbiamo provato a spiegare ai nonni che il bambino doveva andare in ospedale o comunque esser seguito da qualcuno, la risposta della nonna è stata che quel bambino non poteva star male, portava un cordoncino al collo che era fatto apposta per tenere lontano la malnutrizione. Questa credo sia soltanto una delle tante cose in cui mi imbatterò. Ho ancora tanta strada davanti a me e sarò felicissima di condividere la mia esperienza con tutti. Alla prossima.

Ilenia

La Tanzania di Ilenia 2
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