Un mondo a parte: il mondo dei Popoli indigeni


Continua la rassegna di incontri “La ricchezza nascosta, dal territorio di Fermo ai territori del Mondo” proposto dall’associazione ALOE OdV.  Dopo i primi due incontri dedicati ai tanti ponti tra il fermano e i paesi del sud del Mondo costituiti dai missionari fermani nel tempo presente (primo incontro 16 gennaio) e lungo il corso della storia (secondo incontro 8 Febbraio), Sabato 8 Marzo 2025 abbiamo realizzato il terzo appuntamento: un incontro dal titolo “Un mondo a parte: il mondo dei popoli indigeni” nei racconti di Mario Aliberti, viaggiatore itinerante fermano, che negli ultimi 20 anni ha compiuto ben 28 viaggi in giro per il mondo con la sua macchina fotografica, interessato alla vita dei popoli indigeni ed alla tutela dei loro diritti.

Qui di seguito la registrazione completa della serata

L’incontro si è aperto con un intervento di Franco Pignotti, che oltre alla presentazione del relatore, ha inquadrato l’incontro stesso sia nel percorso informativo che l’associazione Aloe sta portando avanti, sia relazionandolo ad un evento appena celebrato a Roma, il VII Forum dei Popoli Indigeni, leggendo e commentando il messaggio che papa Francesco aveva inviato al Forum stesso, tenutosi a Roma il 10 e 11 Febbraio scorso.

Franco Pignotti – Presentazione della serata e del relatore

Benvenuti a tutti e soprattutto benvenute alle donne visto che oggi, 8 marzo, è la festa della donna e noi abbiamo organizzato questo incontro. Alla fine vedremo tante donne delle popolazioni indigene, quindi in qualche maniera festeggeremo anche con loro.

Innanzitutto, come primo punto, vorrei ricordare il percorso che noi stiamo facendo, come associazione missionaria Aloe, che quest’anno celebra i nostri 27 anni di attività sul territorio; una attività ormai da resistenti, perché non è più assolutamente facile oggi portare avanti queste iniziative. Comunque noi  crediamo anche in un lavoro culturale. Ci occupiamo di solidarietà internazionale ma ci interessa anche il lavoro culturale sul territorio.
Il titolo di questo percorso che stiamo facendo, un percorso che ci porterà fino all’inizio di luglio, una decina di incontri, è percorso informativo – “La ricchezza nascosta: dal territorio di ferma ai territorio del mondo” –  che è il titolo dei due volumi che abbiamo pubblicato, dove abbiamo raccolto tutte le nostre lettera di collegamento in 25 anni di attività. L’abbiamo voluto intitolare “La ricchezza nascosta, dal territorio di ferma e territorio del mondo”. Ma in quel caso, la ricchezza nascosta, sono i missionari, le missionarie e i laici del territorio di Fermo che però hanno lavorato un po’ in tutto il mondo. La parola Aloe, lo ripeto perchè vedo che c’è qualcuno che magari stasera la prima volta viene, qui non è la pianta, anche se come simbolo c’è anche la pianta, ma è le iniziali dei continenti A come Asia Africa America Latina Oceania Europa. Quindi questo è un po’ il nostro lavoro che abbiamo fatto. Però il percorso di quest’anno è un po’ diverso. L’ultimo incontro, un mese fa, aveva un carattere storico: Emanuele Luciani che sta facendo una ricerca sui missionari ed esploratori marchigiani in Asia, ci ha presentato i Missionari Fermani in Asia nella storia; anche questa è una ricchezza nascosta! Però nel nostro territorio ci sono tante altre realtà. Noi ci siamo occupati di Missionari e ci occupiamo ancora di missionari. Ma ci sono tante altre realtà al di fuori di noi che vanno nello stesso senso. Quindi abbiamo voluto fare questo percorso in cui Aloe organizza ma non  parla di sé, parla di altri, singole persone o piccole realtà associative. Ecco quindi l’incontro di questa sera.

Questa sera è con noi Mario Aliberti e lui non è un missionario, però è una persona dei Fermo che grazie alla sua passione ha raggiunto il mondo intero. Mario, forse qualcuno di voi lo conosce anche meglio di me, ha lavorato in diverse aziende come ragioniere e consulente commerciale; però aveva la passione dei viaggi, prima in tenda, poi con il camper e il caravan. Poi quando è andato in pensione, questa passione è diventata quasi una professione. Una professione che potremmo dire, non in senso tecnico con i titoli di studio, ma nei fatto comunque da etnologo. Perché in effetti, quello che ci presenterà questa sera, sarà proprio il suo incontro con le popolazioni native. I suoi non sono stati viaggi di divertimento, non si recava in luoghi turistici come Sharm El Sheik, viaggi per vacanza. Ma esperienze di tutt’altro genere come vedremo poi nei video che ci proporrà. Quindi lui è una persona del nostro territorio che però ha aperto il fermano al mondo, con le sue foto e i suoi racconti, attraverso incontri organizzati dal Camping Club di Fermo di cui lui ha sempre fato parte.
Come abbiamo conosciuto Mario? Per molti anni noi abbiamo fatto percorsi un tipo di percorso che chiamavamo “Il senso del partire” e che era un modo per preparare persone, giovani e meno giovani, che volevano partire per fare un’esperienza presso le missioni con cui noi eravamo in contatto. In uno di questi percorsi, nel 2008, ha partecipato anche un certo Mario Aliberti, a cui abbiamo anche dato un attestato di partecipazione. Quello del 2008 era il terzo il terzo percorso di quel che facevamo;  ne abbiamo fatti in tutto una quindicina; poi successivamente sono cambiati i tempi e se prima chi ci accostava per fare una esperienza di questo tipo accettava facilmente di fare questo previo percorso di formazione, in seguito è stato sempre più difficile e abbiamo smesso di fare “Il senso de partire”, continuando con atri tipi di corsi  e percorsi. Questa sera dunque abbiamo l’esperienza di un fotografo etnologo che ci presenterà le popolazioni indigene che lui ha personalmente incontrato nei suoi 28 viaggi, realizzati in circa 20 anni, tra le popolazioni più sperdute del pianeta.

Il VII Forum dei Popoli Indigeni e il messaggio di papa Francesco

L’ultima cosa che vorrei dire prima di passare la parola a Mario è che, mentre stavamo preparando questo incontro sull’esperienza di Mario con le popolazioni indigene, c’è stato a Roma un importante convegno, il VII Forum dei Popoli Indigeni, un convegno che si celebra ogni due anni. La cosa impressionante di quest’anno è che non ne ha parlato assolutamente nessuno, nessuno, eccetto Vatican News e l’Osservatore romano perché Papa Francesco, l’unico leader che ha indirizzato una lettera a questo convegno, che si è tenuto a Roma, organizzato dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, l’IFAD, che lo organizza appunto ogni due anni. Appena l’ho saputo, ne abbiamo parlato con Mario che ha fatto subito un bellissimo post su Facebook. Io sinceramente, con tutto gli anni passati a parlare e a fare la solidarietà internazionale, mi sono sentito profondamente scandalizzato per il fatto della totale mancanza di attenzione da parte dei nostri giornali e dei nostri dei nostri giornalisti. Una cosa vergognosa! Noi invece ci siamo trovati in profonda sintonia visto che stavamo organizzando questo incontro su Popoli Indigeni

Vorrei leggere, tagliando le parti iniziale e finali, il messaggio che Papa Francesco ha mandato al Forum dei Popoli Indigeni, perché penso che sia esattamente un po’ il discorso che ci farà questa sera Mario. Questo Forum c’è stato il 10 e l’11 febbraio, addirittura dopo il nostro ultimo incontro dell’8 Febbraio. Quindi è una cosa recentissima.
Scrive papa Francesco:

“Il tema scelto, Il diritto dei Popoli indigeni alla libera determinazione: una via per la sicurezza e la sovranità alimentari, ci invita a riconoscere il valore dei popoli originari, come pure l’eredità ancestrale di conoscenze e pratiche che arricchiscono positivamente la grande famiglia umana colorandola con i diversi tratti delle loro tradizioni. Essa dischiude un orizzonte di speranza nell’ora presente, segnata da intense e complesse sfide e non poche tensioni.
La difesa del diritto di preservare la propria cultura e la propria identità passa necessariamente per il riconoscimento del valore del loro contributo alla società e per la salvaguardia della loro esistenza e delle risorse naturali di cui hanno bisogno per vivere. Cosa che è gravemente minacciata dalla crescita dell’accaparramento delle terre coltivabili da parte di imprese multinazionali, grandi investitori e Stati. Sono pratiche che causano danni, mettendo a rischio il diritto delle comunità a una vita dignitosa.
La terra, l’acqua e gli alimenti non sono semplici merci, bensì la base stessa della vita e del vincolo di questi popoli con la natura. Pertanto, difendere questi diritti non è solo una questione di giustizia, ma anche la garanzia di un futuro sostenibile per tutti. Animati dal senso di appartenenza alla famiglia umana potremo far sì che le generazioni future beneficino di un mondo in armonia con la bellezza e la bontà che hanno guidato le mani di Dio nel crearlo.”

Vorrei solo sottolineare alcuni passaggi: la difesa del diritto di preservare la propria cultura e la propria identità, da parte di questi popoli indigeni, passa necessariamente per il riconoscimento del valore del loro contributo alla società, non solo per la salvaguardia della loro esistenza, ma anche delle risorse naturali e quindi la difesa del loro diritto, ci aiuta a preservare il nostro pianeta minacciato dalla crescita dell’accaparramento delle terre coltivabili da parte di imprese multinazionali e degli stati. Fra i nostri progetti come Aloe noi seguiamo per esempio in Perù Padre Mario Bartolini e una sua collaboratrice, Lucero, suora peruviana, con il progetto che abbiamo voluto chiamare “Alberi per l’Amazzonia” cioè il progetto è per la riforestazione dell’Amazzonia perché ci sono già molte zone degradate. Insomma le comunità indigene dell’Amazzonia, dove lavora Padre Mario Bartolini, stanno lavorando per noi. Nel momento in cui fanno scioperi, vanno contro le multinazionali, stanno lavorando per noi dando il loro contributo per un mondo vivibile per tutti, in modo che le generazioni future beneficino di un mondo in armonia con la bellezza e la bontà che hanno guidato le mani di Dio nel creato.
Stasera Mario ci parlerà di questo mondo a parte che è il mondo dei popoli indigeni. Ma noi stiamo parlando di qualcosa che è importante per il nostro futuro, come afferma un certo Jorge Mario Bergoglio, per gli amici Papa Francesco.

Mario Aliberti – La mia esperienza di viaggiatore tra i Popoli Indigeni

Quello che ha letto Franco, riferendo il pensiero di papa Francesco, è tutto quello che io dico da tanto tempo. Stasera quindi non posso che ripetere i concetti di Papa Francesco. Perché questa è la realtà e papa Francesco ha riassunto brevemente proprio tutto il problema dei popoli indigeni.

Ho sempre amato viaggiare, più che per vedere, per conoscere. I mezzi di comunicazione oggi ci portano le immagini di tutto il mondo, di tutti gli ambienti: terra, mare, città, campagna, montagna, ecc., tanto che visitando il luogo di persona sembra di esserci già stati.

Viaggiare è una cosa diversa, è dimenticare il mondo di casa nostra come se sbarcassimo in un altro pianeta, curiosi di scoprire quanto può offrirci. Osservare le persone, il loro comportamento, mangiare i loro alimenti, meglio se con qualcuno del posto, ascoltare le loro storie. Ascoltare cercando di non giudicare quando sono molto diversi il loro stile di vita, la loro cultura, loro religione. La diversità è una ricchezza, non deve farci paura; nel nostro piccolo mondo siamo tutti uno.

Ancor più interessante è conoscere popoli molto diversi dalla nostra cultura occidentale ma non per questo meno degni di attenzione. Anzi, proprio da loro abbiamo molto da imparare perché essi sono stati per millenni i custodi delle bellezze e delle ricchezze del pianeta intatte fino agli inizi del secolo scorso. Sono i popoli indigeni, più di 470 milioni quasi il 6% della popolazione mondiale. Sono distribuiti in 90 nazioni diverse; 150 milioni sono considerati “tribali”.

I popoli indigeni, la maggior parte di loro, dipendono quasi esclusivamente dalle risorse della terra, prelevano solo quello strettamente necessario, non accumulano, non hanno il frigorifero dove conservare i cibi! In molti casi chiedono scusa alla divinità, ognuno ha la sua ma è sempre un essere superiore, alla quale offrono un sacrificio che spesso è il sangue di un animale.

Una volta, fino a non molto tempo fa, questi popoli venivano definiti come “selvaggi”, in senso dispregiativo, senza rendersi conto che il significato letterale è “abitanti della selva”; per fortuna non è più così ma la convinzione che siano inferiori a noi permane, magari diciamo “arretrati” che non cambia molto. Dovremmo invece sapere che quasi sempre il loro stile di vita è frutto di una libera scelta; sanno benissimo che c’è un altro mondo ma spesso lo rifiutano, dovranno essere loro se è quando adeguarvisi. Alcuni indios dell’Amazzonia lo hanno sperimentato ma sono tornati nella selva e rifiutano ogni contatto esterno.

Oggi purtroppo quelli che hanno avuto la sfortuna di vivere in territori che si prestano alla speculazione economica, terre coltivabili, zone minerarie, zone destinabili a parchi nazionali, riserve di caccia grossa, rischiano l’estinzione perché scacciati, o meglio dire deportati, oppure perché privati delle risorse necessarie causa l’inquinamento prodotto dalle attività umane.

Abbiamo tutti il dovere di attivarci per la salvaguardia dei loro diritti sanciti anche dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite del 13 settembre 2007, purtroppo disattesa in molti casi quando tali diritti sono di ostacolo per lo sfruttamento di risorse naturali o minerali da parte di stati o di privati.

RASSEGNA VIDEO SU ALCUNI POPOLI INDIGENI
DELL’AFRICA E DELL’AMERICA LATINA

Popoli Indigeni della Tanzania.

I DATOGA – Storicamente questa tribù proviene dall’Etiopia e dal Sudan. Inizialmente si insediarono negli altipiani del Ngorongoro da dove successivamente vennero scacciati dai guerrieri Masai. Praticano la pastorizia ma sanno anche lavorare il ferro e l’ottone.       
Realizzano punte di freccia in ferro per i vicini Hadazabe, lame, bracciali ed altri ornamenti. Non praticano l’agricoltura salvo piccoli orti in prossimità delle abitazioni. Le donne Datoga amano i gioielli fatti di rame, perline e metallo; hanno profondi segni nella pelle del viso e delle spalle come decorazioni.

GLI HADZABE – Gli Hadzabe sono un’etnia bantu, abitano la Tanzania dalla notte dei tempi; si contano oggi solo 1200-1300 Hadzabe, di cui circa 400 vivono ancora nel modo tradizionale.
Questa tribù vive in accampamenti con solitamente 20-30 persone, che possono arrivare a 100 nella stagione della raccolta delle bacche; non esiste una gerarchia nella loro società e le donne sono considerate come gli uomini. I conflitti vengono risolti con il dialogo fino all’arrivo di un accordo.
I gruppi si spostano anche a seconda della stagione per trovare territori di caccia migliori o avere maggiori possibilità di raccogliere tuberi e bacche.

I MASAI – Il popolo Masai, popolazione totale di 1.280.000 persone, vive quindi soprattutto in Kenya e Tanzania, con rispettivamente 850.000 e 430.000 abitanti. Verrebbe da pensare che un popolo che vive una vita così tradizionale e spesso lontano da agi moderni tenda a diminuire di numero. In realtà, grazie soprattutto all’alta natalità, i Masai stanno aumentando. Nel 1989 erano meno di 400 mila

Popoli Indigeni del Camerun: i Koma e i Pigmei Baka

I KOMA – I Koma si dividono fra 4 gruppi principali a cavallo fra Camerun e Nigeria.
Questa  popolazione autoctona, una volta presente in vasta zone del Camerun, è costituita attualmente da circa 4.000 individui che vivono isolati sui Monti Alantika in aspri territori pietrosi dove furono costretti a rifugiarsi, lasciando le fertili pianure, per sfuggire nel XVII secolo alle persecuzioni degli schiavisti musulmani. Hanno vissuto isolati per secoli, trent’anni fa ancora era difficile avere contatti con loro. Sono una delle ultime tribù animiste e pagane in una regione abitata da popoli convertiti al Corano. Pressoché sconosciuti fino alla metà del secolo scorso, hanno mantenuto tradizioni e rituali ancestrali ancorati al proprio universo spirituale che ruota attorno agli elementi naturali; sono forse l’ultima etnia veramente autoctona d’Africa.

I PIGMEI BAKA – Si tratta di comunità composte da pochi individui; il numero totale dei pigmei africani si stima infatti inferiore a 250 000.Sono considerati “nomadi stanziali”: la tribù, composta in genere da 3-10 famiglie, si sposta periodicamente da un accampamento all’altro nella foresta.  I Baka della riserva di Dja, in Camerun, sono circa 72.000. La maggior parte di loro è costretta a vivere ai margini della foresta dove non possono più cacciare a seguito dell’istituzione dell’area protetta. Sono a rischio di estinzione.

Le tribù della bassa valle dell’Omo in Etiopia

In totale, sono 200.000 gli indigeni che vivono nella bassa valle dell’Omo, divisi in tribù la cui economia è basata sulla pastorizia e che sono diverse tra loro per origine, lingua, usi, costumi, aspetto fisico e la complessità dei loro sistemi agricoli. La costruzione di tre grandi dighe sul fiume ha messo in serio pericolo la sopravvivenza di molti di questi popoli che ricavano il loro  sostentamento, oltre che dalla pastorizia, dalle coltivazioni praticate grazie alle esondazioni del fiume stesso ora assenti

Gli indigeni Huaorani dell’Amazzonia

I Waorani o Huaorani o Waodani sono una popolazione dell’Ecuador, precisamente della zona del Curaray, costituita da circa 2500-3000 individui. Nella loro lingua il loro nome significa: Siamo persone.  Le loro terre d’origine sono quella tra il fiume Curaray e il fiume Napo, circa 80 km a sud di El Coca; a partire dagli anni settanta hanno iniziato a disperdersi uscendo dalle zone protette messe a disposizione dal governo. Si muovono continuamente in più aree isolate, attraversando anche i confini peruviani. Vivono di caccia e pesca, anche se negli ultimi anni l’arrivo delle compagnie petrolifere ha spinto alcuni di loro a uscire dalle comunità e lavorare per i petrolieri, mentre sono aumentati i matrimoni tra donne Wao e i Quechua