Il gruppo “Famiglie per l’Adozione” dell’associazione ALOE OdV, con la collaborazione e partecipazione del CSV Marche nell’ambito dei progetti di formazione partecipata, ha proposto due incontri su “Il mondo controverso degli adolescenti” destinati a tutta la cittadinanza, ma in special modo ai genitori che hanno a che fare con i propri figli adolescenti. I due incontri sono animati dalla psicologa in formazione psicoterapeuta, Dott.ssa CRISTIANA MALASPINA. Questo che proponiamo qui è stato il primo incontro che ha avuto come focus del discorso le problematiche dell’ “Integrazione e multiculturalità”. Il mondo adolescenziale contemporaneo si trova infatti più di altre categorie di età a vivere una situazione profondamente multietnica grazie ai propri compagni di scuola e di divertimenti provenienti dal mondo degli immigrati, oppure dal modo dell’adozione internazionale.
L’incontro, introdotto da Cinzia Rogante di Famiglie per l’Adozione, si è tenuto Venerdì 10 Ottobre 2025 .
VENERDI’ 24 OTTOBRE 2025, alle ore 21.00, presso la Casa delle Associazioni in Via Del Bastione 3 a Fermo, si terrà il secondo incontro centrato sull’uso dei social da parte degli adolescenti ed in pafticolare sulle problematiche dell’hikikomori.
Sintesi audio
Registrazione dell’incontro
Contenuti della relazione
Multiculturalità e la crisi d’identità adolescenziale nel contesto italiano
I. Premessa
Il presente rapporto è basato sui lavori di un incontro formativo, incentrato sulle dinamiche della multiculturalità e dell’integrazione, organizzato dal gruppo Famiglie per l’Adozione dell’Associazione Aloe. Tale iniziativa rientra nel quadro di un più ampio progetto volto a promuovere la cultura dell’integrazione, della multiculturalità e dell’adozione.
Famiglie per l’Adozione, originariamente focalizzata sul supporto alle famiglie adottive, ha progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione alle tematiche che riguardano gli adolescenti e i preadolescenti in generale, riconoscendo che le sfide identitarie affrontate in contesti di adozione internazionale riflettono problematiche sociali molto più estese. La gestione dell’identità multiculturale, spesso evidente nel caso di adozioni internazionali a causa della diversità cromatica, funge da indicatore sensibile e da catalizzatore per comprendere le frizioni sociali relative all’integrazione in senso lato. Quando i figli adottivi, cresciuti e pienamente inseriti nel contesto italiano fin dalla primissima infanzia, si confrontano con il pregiudizio fenotipico, dimostrano che l’integrazione culturale completa non è sufficiente a garantire l’accettazione sociale in Italia.
La relatrice principale dell’incontro è stata la Dott.ssa Cristiana Malaspina, psicologa con esperienza come formatrice ed educatrice di ragazzi adolescenti, sia a livello scolastico che comunitario. L’approccio metodologico adottato mira esplicitamente a superare l’analisi meramente statistica, concentrandosi invece sull’esperienza concreta e vissuta dagli adolescenti di seconda generazione e dai figli adottati provenienti da altre culture. Questo orientamento è stato scelto per esplorare direttamente come le realtà quotidiane di questi giovani mettano in discussione la percezione sociale dell’italianità.

II. Il concetto di multiculturalità e la sfida dell’integrazione reciproca
La base dell’analisi risiede nella distinzione fondamentale tra la semplice coesistenza culturale e l’effettivo processo di integrazione. La multiculturalità è definita come la coesistenza di diverse culture, con origini, religioni, lingue e storie differenti, all’interno di uno stesso spazio sociale.
La criticità della coesistenza
Il problema cruciale, definito come il “nodo sociale” della questione, è che la multiculturalità “non implica automaticamente l’integrazione o l’interazione tra le diverse culture”. Si constata la difficoltà persistente per persone, ragazzi e adulti provenienti da culture diverse di comunicare e interagire efficacemente.
L’integrazione, in contrasto con la mera coesistenza, viene descritta come un percorso difficile che deve essere intrinsecamente bidirezionale: richiede l’accettazione sia della cultura esterna (portata dal nuovo arrivato) sia l’accettazione, da parte della cultura ospitante, della presenza altrui, concependo tale scambio come un arricchimento reciproco.
Il catalizzatore primario per superare questo stallo è identificato nella conoscenza. L’integrazione si realizza solo attraverso l’effettiva conoscenza dell’altro, promossa da partecipazione, dialogo, ascolto e collaborazione. Questa apertura è l’unico strumento efficace per contrastare stereotipi e pregiudizi. La società ospitante deve compiere uno sforzo intenzionale per considerare l’altro come una risorsa e non come una minaccia. Quando la diversità è percepita come un pericolo, subentra la paura, la società tende a chiudersi, e l’interazione si blocca, degenerando in isolamento o ghettizzazione anziché in arricchimento. La flessibilità e la capacità di “aprire le porte agli altri” sono essenziali per attivare il potenziale arricchente della multiculturalità.
III. Il contesto educativo e il quadro normativo italiano
L’ambiente scolastico rappresenta l’arena primaria in cui le dinamiche multiculturali si manifestano in modo evidente. Dagli anni 2000 in poi, l’aumento degli studenti stranieri ha trasformato le scuole in veri e propri “microcosmi” o “micro-società” in cui il confronto tra culture diverse è costante.
Il ruolo della scuola e le direttive istituzionali
L’obiettivo educativo della scuola è duplice: valorizzare la diversità e costruire un ambiente in cui l’identità, le credenze e le opinioni di ogni individuo siano riconosciute e rispettate. In questo contesto, l’educazione interculturale mira a favorire il confronto, il dialogo e il reciproco arricchimento all’interno di una convivenza armonica delle differenze.
A livello normativo, il 17 marzo scorso sono stati presentati gli Orientamenti interculturali dal Ministro Bianchi, un documento che contiene proposte specifiche e azioni educative suddivise in 17 paragrafi e tre sezioni, volte all’integrazione degli alunni provenienti da contesti migratori. Gli obiettivi principali di questi orientamenti sono ambiziosi: promuovere l’inclusione scolastica e sociale, valorizzare la diversità culturale come risorsa educativa e favorire il successo formativo degli studenti migranti.
Criticità operative e strutturali
Nonostante la validità degli orientamenti ministeriali, la loro implementazione è ostacolata da significative criticità strutturali. Tra queste, si annovera la difficoltà della lingua e la mancanza di una figura costante di supporto (come un tutor individualizzato per l’apprendimento dell’italiano). Sebbene tali interventi di prima accoglienza siano previsti, la carenza di continuità del personale e la scarsa operatività della figura del mediatore culturale compromettono l’efficacia delle politiche di inclusione.
La mancata gestione operativa del supporto linguistico per gli studenti e le loro famiglie rischia di mettere a repentaglio il successo formativo, lasciando i giovani in un limbo identitario e relazionale. Si evidenzia che la mediazione culturale, benché esista sulla carta, “funziona purtroppo poco” , creando un divario tra l’ideale politico di inclusione e la realtà pratica delle istituzioni educative.
IV. Strategie e modelli di adattamento culturale (il modello di Berry)
Per analizzare in modo rigoroso le difficoltà di adattamento che gli adolescenti sperimentano, si fa riferimento al modello di acculturazione bidimensionale sviluppato dallo psicologo canadese John W. Berry. Questo modello postula che l’acculturazione non sia un processo lineare, ma un percorso complesso che si svolge lungo due assi fondamentali: il mantenimento della cultura d’origine e l’adattamento alla cultura del paese ospitante.
Nel periodo dell’adolescenza, già caratterizzato dalla cruciale fase di costruzione dell’identità personale, il contesto migratorio introduce una difficoltà aggiuntiva, spesso sfociando in una potenziale scissione tra l’identità di provenienza e quella legata al paese ospitante.
Berry identifica quattro strategie principali di adattamento:
Tabella: Sintesi del Modello Bidimensionale di Acculturazione (J.W. Berry)
| Strategia | Mantenimento Cultura d’Origine | Adozione Cultura Ospitante | Conseguenze Psicologiche/Sociali |
| Integrazione | Alto | Alto | Maggior benessere, doppia appartenenza, relazioni fluide. (Obiettivo Auspicabile) |
| Assimilazione | Basso (Rinuncia) | Alto | Conflitto interiore, alienazione, identità irrisolta e scissa. |
| Separazione | Alto | Basso (Rifiuto) | Rischio di esclusione sociale, sensi di colpa, difficoltà relazionali. |
| Marginalizzazione | Basso (Rifiuto) | Basso (Rifiuto) | Disagio, perdita di riferimenti, rischio di devianza. (Situazione Peggiore) |
L’Integrazione e i rischi della scissione identitaria
L’Integrazione è la strategia più auspicabile, in cui l’individuo mantiene saldamente la propria cultura d’origine pur partecipando attivamente alla cultura ospitante, realizzando così una “doppia appartenenza culturale” che arricchisce entrambe le parti. Tale equilibrio porta a un maggiore benessere psicologico e a un migliore adattamento sociale e scolastico.
Viceversa, l’Assimilazione (rinuncia all’origine per l’adozione totale della cultura dominante) e la Separazione (mantenimento forte dell’origine e rifiuto della cultura ospitante) pur essendo opposte nel loro orientamento, producono entrambe un effetto psicologicamente dannoso: la scissione identitaria. Nel caso dell’Assimilazione, il rifiuto della propria cultura d’origine va contro i principi familiari e crea un senso di alienazione, poiché l’individuo accetta qualcosa che non gli appartiene totalmente, portando la cultura d’origine a riaffiorare in modo irrisolto. L’adolescente non riesce a definirsi pienamente né da una parte né dall’altra. Nel caso della Separazione, la fedeltà alla cultura d’origine impedisce l’instaurarsi di relazioni sociali nel contesto ospitante, causando isolamento e sensi di colpa nei confronti della famiglia.
La Marginalizzazione rappresenta la situazione peggiore, in cui l’individuo non si riconosce in nessuna delle due culture, portando a una perdita totale dei riferimenti valoriali, disagio psicologico e sociale e, in casi estremi, alla devianza. Un adolescente che si sente “perso” e privo di appartenenza in entrambe le società tende ad adottare strutture di riferimento immediate, spesso devianti, non riconoscendo confini morali.
V. L’identità messa in crisi: pregiudizio, stereotipo e colore della pelle
La percezione dello straniero in Italia è influenzata da una complessa interazione di fattori sociali, culturali ed economici. Un elemento che complica significativamente questo quadro è il colore della pelle.
Il pregiudizio fenotipico
L’analisi evidenzia che la discriminazione in Italia si concentra spesso sul pregiudizio fenotipico. Un ragazzo di colore nato e cresciuto nel paese, totalmente integrato, viene sistematicamente trattato in modo diverso rispetto a un ragazzo di origine europea, anche se straniero. Questo si verifica a causa dello stereotipo associato al colore della pelle, che persiste nonostante i miglioramenti ottenuti grazie ai contesti sportivi e scolastici e alle battaglie per l’integrazione.
Il ruolo dei social media e delle narrazioni mediatiche è cruciale nel perpetuare la “paura della diversità,” spesso veicolando messaggi che dipingono l’immigrato come colui che “ruba il lavoro” o è associato alla delinquenza.
Un esempio concreto di questa dinamica è fornito dal video di una ragazza che, pur parlando con perfetto accento romano, viene messa in discussione sulla sua appartenenza all’identità romana, semplicemente perché non è bianca. L’uso di espressioni come “romana puro sangue” rivela una mentalità che lega l’italianità a un concetto di purezza etnica o razziale, minando la legittimità dell’appartenenza acquisita. La discriminazione, in questo senso, non è primariamente una xenofobia basata sull’origine geografica (come avveniva in passato con i primi flussi migratori da Albania/Serbia ), ma un’esclusione visibile e persistente basata sulla razza percepita.
VI. L’esperienza vissuta: testimonianze di conflitti e resilienza
Le testimonianze raccolte durante l’incontro fungono da casi studio che illustrano la tensione tra l’identità interna dei giovani e l’immagine che la società adulta restituisce loro.
La sfida dell’identità negoziata
Il caso di una figlia adottiva di origine indiana, evidenzia come la “curiosità” invasiva e non richiesta degli adulti si traduca in una micro-aggressione costante. Sebbene i suoi coetanei a scuola l’abbiano pienamente accolta, l’ambiente adulto la costringe continuamente a negoziare la sua storia e a giustificare la sua italianità, spesso sviluppando strategie difensive (“gli fa soffrire un po’”) prima di rivelare la sua adozione. Questo processo mina l’autostima e costringe il ragazzo a sentirsi costantemente sotto esame, chiedendo rispetto per l’identità che ha costruito: “L’altro dovrebbe essere accorto per quello che è basta”.
La criminalizzazione basata sul colore
La storia di un ragazzo adottivo con la pelle scura, illustra l’applicazione diretta dello stereotipo criminale. Nonostante fosse integrato con gli amici (“il colore della pelle non contassi niente” ), in contesti esterni dominati dagli adulti (come una discoteca), è stato perquisito con la giustificazione di “sembrare quello che ruba le catenine”. In un altro episodio, non è stato fatto salire su un autobus. Questi eventi dimostrano che l’integrazione tra pari non protegge il giovane dall’essere identificato, basandosi sul suo fenotipo, come una minaccia. Se tali discriminazioni si verificassero su ragazzi con basi identitarie meno consolidate, il risultato sarebbe una difficoltà ad affidarsi alla società e la necessità di vivere costantemente “sulle attenti,” compromettendo l’adattamento.
Il conflitto interiore e la mediazione fallita
Un’altra sfida cruciale si riscontra nelle ragazze di seconda generazione, spesso di fede musulmana (es. pakistana), nate e cresciute in Italia. Esse si sentono “totalmente occidentali” (nel vestiario, nello stile di vita) ma vivono in una famiglia che impone un modello culturale e religioso non occidentale.
Questa divergenza crea una profonda “scissione” e sensi di colpa nei confronti della famiglia, poiché non riescono a integrare le due parti della loro identità (es. andare al mare in bikini, comportamento inconcepibile per la famiglia d’origine). La società ospitante, accogliendo queste ragazze ma fallendo nel fornire strumenti di mediazione alle famiglie, acuisce questo conflitto. La Dott.ssa Malaspina evidenzia che il mediatore culturale è fondamentale per supportare le famiglie di prima generazione nell’integrazione, ma tale figura operativa è purtroppo carente, lasciando le ragazze a vivere una difficoltà identitaria estrema.
La frustrazione della non-appartenenza e il ritorno al paese d’origine)
Infine, l’esperienza di un ragazzo adottato in America Latina che torna nel suo paese d’origine per “sentirmi finalmente uno uguale a tutti” riassume la frustrazione dell’identità divisa. Nonostante l’attesa di sentirsi finalmente parte di un gruppo, scopre di non essere riconosciuto nemmeno lì, a causa del suo abbigliamento, atteggiamento e modo di parlare diversi. Questo illustra come l’identità multiculturale sia una “costruzione un po’ complicata” in cui si rischia di non appartenere pienamente a nessun contesto, aumentando la ricerca di un “senso d’appartenenza” che, se non trovato, può portare alla Marginalizzazione.
VII. La soluzione è nella rete: conoscenza, dialogo e flessibilità
L’analisi indica chiaramente che i giovani sono il modello di integrazione riuscita. In contesti come la scuola e lo sport, i ragazzi “non vedono più il colore della pelle” e l’accettazione tra pari è fluida.
I contesti di successo
Lo sport, in particolare, è identificato come un contesto che valorizza l’impegno e la passione sulla differenza etnica. L’esempio fornito da Julio Velasco, ex allenatore della nazionale femminile di pallavolo, descrive la squadra come un “modello da ammirare,” capace di far lavorare insieme una “molta diversità” verso un obiettivo comune, senza richiedere la perdita delle caratteristiche individuali. Tali contesti positivi hanno un effetto benefico anche sulle famiglie che li vivono indirettamente.
Il fattore critico: la rigidità degli adulti
Il problema fondamentale della multiculturalità è attribuito non ai ragazzi, ma primariamente agli adulti. La rigidità si manifesta sia negli adulti immigrati, che talvolta mantengono la chiusura culturale e si isolano (es. il genitore cinese che dopo 20 anni non parla italiano, costringendo il figlio a fare da interprete), sia negli adulti ospitanti, che tendono allo stereotipo.
La resistenza linguistica dei genitori stranieri è una “fatica” che impone ai figli un carico di responsabilità eccessivo e minaccia la loro stabilità identitaria. La difficoltà linguistica dei genitori, specialmente in culture percepite come più chiuse, si scontra con la rigidità della società ospitante. Questa “doppia rigidità” impedisce l’integrazione genitoriale e, di conseguenza, spinge l’adolescente verso Assimilazione o Separazione, strategie psicologicamente insostenibili.
È imperativo che la società ospitante sia flessibile e accogliente, senza esigere che l’immigrato debba abbracciare tutti i valori locali, ma promuovendo invece una conoscenza reciproca e un canale di comunicazione. Il lavoro di integrazione deve dunque concentrarsi sul rafforzamento della rete educativa complessiva, coinvolgendo non solo la scuola ma anche gli enti sportivi e le famiglie stesse, fornendo strumenti a tutti gli attori sociali.
VIII. Dibattito finale: la paura italiana della conoscenza e il ruolo del cambiamento
Il dibattito finale ha toccato il tema della resistenza sistemica al cambiamento, che è percepito come “faticoso, lento” e talvolta “doloroso,” poiché implica il lasciare “certezze” per affrontare l’ignoto.
La difficoltà di rimuovere i pregiudizi adulti
Sebbene rieducare l’adulto, già strutturato sui propri valori e pregiudizi (“Abbiamo sempre fatto così”), sia riconosciuto come un processo estremamente difficile—che alcuni percepiscono come una “battaglia persa”—è altresì necessario. Concentrarsi esclusivamente sui figli, pur essendo un investimento sulla costruzione, significa abbandonarli a una rete educativa che può essere ostile (come gli insegnanti che stereotipano un alunno chiamandolo “Mohammed”). L’attivazione di un cambiamento, anche se lento e graduale, attraverso “piccole gocce,” è essenziale affinché i giovani non debbano crescere in un contesto che mina costantemente la loro identità.
La paura della conoscenza e l’inibizione culturale
È stata sollevata la questione di quanto il retaggio culturale italiano sia legato a una profonda “paura della conoscenza”. Questa paura si manifesta nella diffidenza verso l’ignoto (es. alimenti come le spezie marocchine) ed è alimentata da una possibile insicurezza o un inconscio “sentirsi inferiori” (ad esempio, a causa di una minore competenza linguistica in inglese rispetto ad altre culture).
Questa paura non è solo un tratto psicologico, ma è stata esacerbata, in particolare dagli anni Novanta ad oggi, da una politica che ha enfatizzato la narrativa del “diverso che in qualche modo ci toglie dei diritti, ci toglie qualcosa”. Tale retorica alimenta il timore di perdere la propria identità e contrasta con una visione positiva della “contaminazione” culturale.
La resistenza al cambiamento e la paura della conoscenza sono i meccanismi psicologici che sostengono la rigidità adulta. Se l’accoglienza è percepita come un rischio o una minaccia all’identità nazionale, l’adulto costruisce barriere, bloccando l’arricchimento che deriverebbe dall’interazione e mantenendo stereotipi dannosi (come l’auto-stereotipo italiano all’estero, che è spesso “pizza e mafia” ). È fondamentale riconoscere che la chiusura è tipica delle società più piccole e omogenee, e che l’apertura e il confronto sono vitali per una società ormai multiculturale.
IX. Conclusioni e raccomandazioni proattive
L’Italia si configura come una società intrinsecamente multiculturale, e la principale sfida all’integrazione risiede nella persistente rigidità e paura della conoscenza manifestata dalla popolazione adulta ospitante e, in alcuni casi, dalle famiglie di origine immigrate. Il fallimento dell’integrazione è un processo “irrisolto” che impone ai giovani una dolorosa scissione identitaria e aumenta il rischio di disagio sociale.
L’analisi porta alle seguenti conclusioni e raccomandazioni strategiche:
- Promuovere l’integrazione bidirezionale: È fondamentale che la società italiana adotti pienamente il modello di Integrazione di Berry, vedendo attivamente la diversità non come una minaccia, ma come una risorsa. L’accoglienza deve essere flessibile, basata sulla reciproca conoscenza, non sull’assimilazione forzata.
- Rafforzare la rete educativa e la formazione degli adulti: Gli sforzi devono concentrarsi sulla rieducazione e la sensibilizzazione degli adulti che operano nelle istituzioni sociali, in particolare insegnanti e figure di autorità (come il personale di sicurezza e trasporti), che sono i veicoli primari del pregiudizio fenotipico.
- Investire nella mediazione culturale operativa: La figura del mediatore culturale deve essere potenziata e resa costante. Questa figura è essenziale per superare la doppia rigidità, supportando le famiglie di prima generazione (soprattutto nel superamento delle barriere linguistiche e culturali) e alleggerendo il carico identitario e di interpretariato che grava sui figli.
- Valorizzare e replicare i contesti giovanili positivi: I contesti di successo, come lo sport e la scuola, dove l’integrazione tra pari avviene naturalmente, devono essere promossi e utilizzati come modelli per estendere l’accettazione e il confronto positivo anche agli adulti e alle famiglie.
- Combattere la paura attraverso la contaminazione: Per superare la paura della conoscenza, è necessario incoraggiare attivamente l’interazione pratica e la “contaminazione” (come le giornate a tema culinario) che dimostrino come la diversità sia un arricchimento e non una perdita per l’identità italiana.
In sintesi, il futuro dell’integrazione dipende dalla capacità della società italiana di evolvere la propria percezione di italianità, vedendola come un concetto fluido e inclusivo, basato sull’appartenenza vissuta quotidianamente e non su un’ideale anacronistico di purezza etnica.
Prossimo incontro
VENERDI’ 24 OTTOBRE 2025, alle ore 21.00, presso la Casa delle Associazioni in Via Del Bastione 3 a Fermo, si terrà il secondo incontro centrato sull’uso dei social da parte degli adolescenti ed in particolare sulle problematiche dell’hikikomori.

