L’Arcidiocesi di Fermo in Oriente.


I Missionari Fermani in Asia. Una lezione di Emanuele Luciani ricercatore per il Parco storico-letterario Marche-Oriente. Casa delle Associazioni – Sabato 8 Febbraio 2025

La registrazione dell’incontro

La trascrizione completa degli interventi

Presentazione dell’incontro e del Relatore

FRANCO. Buonasera. Scusate il ritardo. Benvenuti a tutti, benvenuto a Emanuele. Due parole di presentazione. Con questo incontro noi stiamo cominciando un percorso, di cui però vi parlerò alla fine, che ci terrà impegnati tutta la prima parte dell’anno, e che è intitolato “Percorso informativo: La ricchezza nascosta. Dal territorio di Fermo ai territori del mondo” Questo è il titolo di una nostra pubblicazione che il Centro Culturale San Rocco ci ha presentato il 16 gennaio. Una nostra pubblicazione in due volumi, 1000 pagine, un po’ tutta la nostra storia di 25 anni come associazione Aloe. “La ricchezza nascosta. Dal territorio di ferma territorio del mondo”. In questi due volumi ci sono i missionari originari del Fermano, della Diocesi di Fermo, o di questo territorio, che sono presenti un po’ in tutto il mondo.

Prima Emanuele mi chiedeva il senso della parola “Aloe” come nostro nome. Noi non l’abbiamo scelta per la pianta, ma l’abbiamo presa come acronimo delle iniziale dei continenti: “A” come Asia Africa America “L” come Latina “O” come Oceania “E” come Europa! E questo è un po’ il nostro specifico. Però poi quest’anno, questo percorso, è un po’ diverso perché ci siamo detti: “Ma il territorio di Fermo non è rappresentato solo dalle storie che noi siamo in grado di raccontare perché le abbiamo vissute. Ci sono tante altre storie, tante altre persone del territorio di Fermo che si occupano a vario titolo della dimensione mondiale. Quindi ecco qui l’incontro di questa sera. Questa sera noi iniziamo un percorso di persone del territorio, persone o piccoli gruppi, piccole associazioni, che vivono una dimensione mondiale.

Iniziamo con un incontro dal punto di vista storico. Con tutte le persone e le realtà che incontreremo in questo percorso, ci siamo conosciuti più o meno per caso lungo tutto il nostro cammino di questi 25 anni. Con Emanuele per esempio non ci conoscevamo. Lo scorso anno a Febbraio, più o meno in queste date, abbiamo fatto un convegno a Montegiorgio dedicato a un missionario di Montegiorgio che noi abbiamo seguito moltissimo, Lucidio Ceci, in Bangladesh. Era venuto a parlare un altro missionario dal Bangladesh, originario di Filottrano, P. Giacomo Gobbi, ed Emanuele mi ha contattato dicendo: “Ma io, insomma, mi occupo di certe cose …”, ed ecco che abbiamo cominciato con questo. Quindi questa sera c’è un taglio storico, quello di cui si occupa Emanuele stesso.

Qualche giorno fa gli ho detto: “Guarda, tu mi devi dare un curriculum perché io ti devo presentare, due parole iniziali …”. Mi ha mandato un curriculum che, insomma, mi ha quasi spaventato! Io però lo riassumo in tre punti. Emanuele si è diplomato al Montani in Chimica Ambientale, o qualcosa di questo tipo; ed in effetti uno dei suoi impegni principali è su questo terreno. Lui ha fondato e porta avanti un’associazione che si chiama “Galee Sibilline” e che si occupa di ambiente, di gastronomia, di arte, di letteratura, di esperienze ecosostenibili, di promozione insomma della conoscenza del nostro ambiente storico-naturale, promozione turistica, dieta mediterranea e cammini storici, antichi sentieri. Quindi del nostro territorio. Questa è una sua linea di lavoro! Poi ecco lui si occupa anche di Storia. Questa sera è qui appunto perché un altro suo interesse è quello dal punto di vista storico. Lui fra l’altro, dopo il Diploma i Chimica Ambientale, si è laureato in Beni Culturali presso l’università di Macerata con i corsi che facevano qui a Fermo. Da qui il suo interesse storico. Fa parte di una associazione che si chiama “Identità Europea”, una associazione che ha sede a Rimini, fondata da Franco Cardini che ne è stato anche il primo presidente. Emanuele attraverso questa associazione si occupa del progetto storico che è un po’ il titolo di questo nostro incontro: “Parco Storico-letterario Marche Oriente”. Si occupano e stanno facendo tutto un lavoro, una ricerca che riguarda missionari ed esploratori marchigiani in Asia. Quando lui mi aveva detto questo, al momento che ci siamo conosciuti, io gli ho detto: “Ok, allora organizzeremo un incontro sui rapporti tra il territorio di Fermo e l’Asia”, quindi una piccola sezione di questo progetto. Si tratta di un lavoro che stanno portando avanti,  non c’è ancora un libro, quindi si tratta di un lavoro non ancora terminato, un lavoro in fieri. Poi il terzo aspetto è che Emanuele è anche una persona impegnata ecclesialmente: si sta preparando per il Diaconato, collabora con il Centro Missionario ed è Priore della Confraternita della Sacra Spina, una reliquia fra l’altro legata in qualche modo alla storia del Montani. Ecco un po’ i tre aspetti con cui ti ho voluto presentare.

Poi ci sono le pubblicazioni: ha già fatto un sacco di pubblicazioni. Ne cito solo tre relative ai tre spetti di cui ho parlato. Per esempio sul primo aspetto possiamo citare il libro “Il mio Taccuino Marche dalla Vigna alla Tavola” edito da Giaconi Editore 2022. Sul secondo aspetto il libro “I cavalli che hanno fatto la storia – Radici dell’ippovia del Tenna” edito da Giaconi Editore 2023. E sul terzo aspetto “Come Fratelli“, collana “Venerabile Archiconfraternita della Sacra Spina di Fermo“,  edito da Il Cerchio, 2018.

In conclusione possiamo dire che Emanuele è una persona che, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista storico, valorizza il nostro territorio ed è questo un po’ il punto per cui vogliamo iniziare questa sera con lui.

Questo incontro lo mandiamo anche online e magari ci sarà qualcuno che potrà seguirlo da casa. Oggi è sempre molto difficile organizzare incontri, percorsi culturali e avere persone. Per questo vogliamo curare, in tutto questo percorso che iniziamo stasera, sia la modalità in presenza e ringraziamo Dio che siamo già un bel gruppo, ma anche la modalità da remoto. Poi resta la registrazione e quindi qualcuno potrebbe andare a vedere successivamente magari qualche aspetto, qualche passaggio. Con questo giro il microfono ad Emanuele.

Introduzione all’argomento

EMANUELE. Grazie Franco. Grazie davvero per l’invito, grazie al presidente di ALOE, Fabio Sebastiani, grazie anche ad Attilio Ascani che è il direttore del Centro Missionario con il quale collaboro. Tutto questo per me è abbastanza recente; per me parlare di missione a chi la missione la vive da 27 anni come voi è davvero un po’ imbarazzante, perché fondamentalmente io non la conosco! Per me, infatti, è un mondo molto nuovo. Posso parlarvi, come ha detto Franco giustamente, dell’aspetto storico culturale della Missione. Quello che a me ha suscitato e la curiosità che ha scaturito è stato proprio il mondo degli invisibili!  E voi infatti state aiutando persone in qualche modo invisibili! Ma nella storia c’è un altro aspetto dell’invisibilità spesso poco menzionato, ed è proprio di chi fa la scelta di esserlo, cioè del missionario. Mentre oramai siamo in qualche modo anche fin troppo attaccati mediaticamente sulla difficoltà che determinate popolazioni, persone o gruppi, hanno nella loro vita, ci dimentichiamo che spesso sono i missionari a fare da ponte fra una cultura e l’altra; un ponte fra ciò che è per noi e ciò che è per l’altro. E questi invisibili non sono soltanto moderni, come giustamente hai detto, ma sono anche nell’antichità.

Quello che proveremo a fare oggi, sarà proprio un passaggio molto veloce sui nomi, sono stati veramente tantissimi, sui luoghi di partenza e sui luoghi di arrivo di questi missionari. Ho incontrato il mondo della missione attraverso questo studio, che è uno studio finanziato dalla Regione Marche e, diciamo, incentivato dall’associazione Identità Europea che ha fatto un po’ pressing sulla Regione Marche. La Regione Marche ha individuato il Comune di Macerata come comune capofila di questa idea progettuale, per un triennio di lavoro e di studio. Sono stati pubblicati già quattro testi veramente impegnativi sulla figura dell’esploratore Giuseppe Tucci; e adesso verranno pubblicati altri tre testi, fra cui una guida turistica, dentro la quale metteremo anche Fermo e la Diocesi di Fermo; testo che sto aiutando a scrivere.

Il Parco storico-letterario Marche-Oriente

Ma che cos’è questo Parco letterario? Che cosa significa e dentro quale cornice ci muoviamo? Voleva venire anche il Presidente dell’associazione Identità Europea, Adolfo Morganti che è il terzo dopo Franco Gardini e il magistrato Francesco Mario Agnoli. Adolfo Morganti non è potuto venire perché in questo momento è a Lodi per un altro impegno, ma ci ha mandato un messaggio che vorrei condividere con voi.

ADOLFO MORGANTI. Che cos’è il Parco Storico-letterario Marche-Oriente? La nostra associazione Identità Europea lavora a questo progetto da più di 10 anni e in quest’anno 2025, sta finalmente concludendo un triennio di lavoro intensivo, che ci porterà, alla fine di quest’anno, ad avere anche una Guida di questo enorme Parco Storico letterario che abbiamo voluto intestare ad un grande esploratore maceratese, Giuseppe Tucci e per la quale ringrazio Emanuele Luciani, il cui lavoro è stato fondamentale per la realizzazione di questa guida.

Cos’è un parco storico letterario? Voi pensate a tutto il territorio delle Marche, non solo alla regione amministrativamente definita tale, ma anche arricchite da altri piccoli territori di montagna, ad esempio del Montefeltro, che hanno sempre fatto riferimento storico, culturale religioso alle Marche. Immaginate che questo enorme territorio nel corso dei secoli abbia adempiuto una singolare missione di contatto, di rapporto, di esplorazione, di scambio col mondo orientale! Noi abbiamo avuto la felice avventura di scoprire che più di 350 missionari sono partiti dalle più diverse plaghe di questa Regione Marche, dai paesini di montagna più sperduti e dalle grandi città della costa, per andare in Oriente, per conoscere, per scambiare, per evangelizzare, per imparare, per trasmettere, per insegnare! Questo enorme parco, che quindi si estende su tutto il territorio della Regione Marche, desidera quindi valorizzare questa eredità: l’eredità di almeno cinque secoli di missionari età dei nostri marchigiani verso l’Oriente. Per Oriente intendiamo dall’Armenia fino all’Estremo Oriente! Nel 900 questa tradizione acquista anche una sua dimensione laicale, accademica, specialistica, e si incarna nella figura unica, sinceramente di livello mondiale, dell’orientalista esploratore maceratese Giuseppe Tucci, su cui non spendo altre parole.

Ecco, quindi, che l’idea di un Parco Storico serve per valorizzare, come un insieme organico, questa eredità; perché noi siamo convinti che l’impulso umano, culturale, di conoscenza, di scambio che univa Matteo Ricci a Giuseppe Tucci, fosse stato esattamente lo stesso, declinato all’interno di codici culturali leggermente diversi, ma accumunati dal bisogno di conoscere l’altro e di trasmettere all’altro il portato della propria esperienza. Un Parco Storico letterario, quindi, trasmette una memoria, trasmette la memoria di figure, di viaggi, di testi, ecc. E’ un colossale cantiere da cui escono fuori testi inediti, testi rieditati dopo tanti anni di dimenticanza; emergono itinerari, percorsi di studio, momenti in cui ci si interroga su cosa abbia fatto, come abbia fatto questa gente a mettere in piedi tutta una vita per camminare a piedi o in nave, anni e anni, lungo i cammini dell’Europa e del Mondo del tempo, partendo dalle Marche e arrivando in India; e poi di lì andando a piedi ad esempio fino nel Tibet, come il caso di Orazio Olivieri di Pennabilli, comune del Montefeltro che è parte culturale delle Marche, anche se oggi è in provincia di Rimini.

L’idea di questo Parco quindi nasce come gesto di omaggio nei confronti di questa tradizione, come progetto culturale di riscoperta, di testimonianze oggi ignote. Soprattutto con l’idea di fornire a coloro che sono interessati alla cultura materiale della Regione Marche, quella tradizione spirituale della Regione Marche, quella nostra tradizione cristiana di pellegrinaggio verso l’altro. Uno spazio molto vasto dove poter scoprire la storia, l’avventura umana di centinaia e centinaia di persone che hanno testimoniato la bellezza e la profondità di questo dialogo, nel modo più alto, mettendoci tutta la propria vita. E’ un cammino lungo il quale noi ci siamo entusiasmati e adesso è l’ora di trasmettere questo entusiasmo a tutti coloro che vorranno percorrere nel Terzo Millennio un po’ delle antiche vie che hanno portato tante persone, dalle montagne e dalle colline di questa regione fino agli estremi confini del mondo! Conosci te stesso e conosci l’altro! Questa è l’antica ricetta che tutte queste persone hanno testimoniato e che è valida ancora oggi!

L’Arcidiocesi di Fermo in Oriente.

EMANUELE. Con questa presentazione, Adolfo è come se fosse qui con noi e ci ha guidato su cosa è un Parco Storico letterario e sulle motivazioni che ci hanno spinto a questo studio. Ma andiamo avanti e adesso entriamo nella storia della nostra diocesi, attraverso queste immagini.

In sala c’è lo studioso Gabriele Tarsetti e una di queste due immagini è tratta da uno dei suoi testi, ma io l’ho accostata a uno dei più grandi disegni dell’autore britannico Tolkien, che ha scritto un’epopea fantastica, che è quella del Signore degli Anelli. Guardate questi due portali: uno è il portale fantastico del mondo della fantasy e l’altro è quello della Madonna dei Sette Dolori che si trova a Pechino; una delle cinque grandi chiese cattoliche di Pechino, fondata appunto da un nostro conterraneo che Gabriele ha studiato perfettamente e che è Padre Teodorico Pedrini. Certo i più conoscono quest’altra grande chiesa, quella del venerabile Padre Matteo Ricci che è la chiesa dell’Immacolata Concezione che, tra l’altro in questo periodo, festeggia i 420 anni della sua fondazione.  Monsignor Nazzareno Marconi sta facendo un grande lavoro di riappropriazione  della figura di Padre Matteo Ricci e questo suo grande lavoro sta portando molti frutti, sia in Cina ma anche in Europa. Nel dicastero dell’Evangelizzazione si parla ora moltissimo di questa figura, che è ritornata centrale e preminente all’interno della Chiesa.

Ma cosa esprime la nostra diocesi e la nostra città? Appunto di cinque chiese, due sono state fondate da Marchigiani: Padre Matteo Ricci e il nostro Teodorico Pedrini. Quindi questo non è assolutamente da lasciare cadere indietro. Come diceva un bruttissimo detto: “La Cina è vicina” ma il Ticino è più vicino! Cosa c’è da noi, grazie anche all’associazione e al grande lavoro di Gabriele Tarsetti: ci sono delle piccole testimonianze che hanno iniziato a mettere in campo, come la targa del “Largo Teodorico Pedrini” a Fermo, che tanto largo non è però la città più di quello non offriva; e poi c’è un altro spiazzo che è a Monte San Martino, con una veduta panoramica incredibile, proprio di fronte alla Pinacoteca Comunale dove tra l’altro a breve verranno trasferiti i Crivelli e quindi il Largo Teodorico Pedrini a Monte San Martino sarà anche di più messo in relazione alla bellezza anche artistica che guarda Oriente, perché i Crivelli, ricordiamocelo, sono di Venezia, ma prima che venissero a Fermo, stavano bazzicando le corti veneziane in Dalmazia dove poi sono stati fatti andar via perché le mogli degli altri non è che andava molto bene come situazione. Fatta questa battuta, andiamo un po’ su quello che è il tema della nostra ricerca.

Abbiamo messo in una cartina tutto il lavoro di ricerca fatto: una realtà che vede 375 missionari marchigiani in Oriente, soltanto Marchigiani e soltanto del ramo maschile, perché indagare il ramo femminile, come molti studiosi sanno, è davvero difficile e non basta un anno e mezzo di lavoro negli archivi. Vi assicuro che è un lavoro a parte, e nonostante questo sono già venute fuori una ventina di donne; però in questo contesto ho analizzato soltanto il ramo maschile. 375 nomi in tutta la Regione Marche distribuiti in 102 comuni che sono interessati da questo fenomeno, chiamiamolo così. Un fenomeno che è anche transculturale, che entra dentro la figura delle Marche. Le Marche sono una di quelle poche regioni che hanno un promontorio che guarda verso i Balcani; quindi noi siamo proiettati verso i Balcani, il mare Adriatico – una cosa che dico sempre durante le mie guide – non è stato visto come un luogo di divisione, come poi ci è stato insegnato durante il tempo della guerra fredda con il blocco Oriente Occidente, blocco sovietico e mondo della NATO; no l’Adriatico è sempre stato un luogo di connessioni, una strada, addirittura un’autostrada la chiamerei, in quanto per andare da Fermo a Roma a piedi, si impiegano nove giorni, e ve lo assicuro perché l’ho fatto; se proprio uno avesse fretta e se è bene allenato, potrebbe  riuscire a farlo in 5 giorni, ma non di meno, è impossibile. Per andare nelle Isole Dalmate o in Istria o anche in Albania serve un giorno, massimo un giorno e mezzo se si trova burrasca! Quindi capite bene che, con lo stesso tempo che serve per andare a Roma, nell’Adriatico fai avanti e dietro. La connessione, che sia culturale, ideale, oppure materiale, di merci, commerciale, è molto più rapida verso l’oriente. E nell’oriente più prossimo, con meno di due giorni di navigazione si arriva a Costantinopoli, oggi in Istanbul, e di conseguenza c’è tutto il mercato del Mar Nero, c’è la Crimea  e la Crimea è una delle porte verso il Medio Oriente, e poi oltre quello medio, verso l’Estremo Oriente.

Ma restiamo nella nostra diocesi, Quali sono i nostri numeri? È la diocesi che ha, in assoluto, il numero più alto di missionari in Oriente: tocchiamo ben 29 comuni e 63 missionari, perlomeno quelli che io ho indagato! Magari ce n’è qualcuno che è ancora sepolto fra gli invisibili della polvere d’archivio. Nella Diocesi di Fermo credo ci siano 55 comuni, e questi 29 quindi rappresentano più della metà, con 63 nominativi. Possiamo fare qualche nome di questi comuni: Amandola, Civitanova, Corridonia, Falerone, Fermo, Francavilla, Grottazzolina, Lapedona, Loro Piceno, Massignano, Massafermana, Mogliano, Montecosaro, Montefiore, Monte San Pietrangeli, Monte Urano, Montegiorgio, Morrovalle, Monte San Giusto, Montefortino, Montegranaro, Montefalcone, Monterubbiano, Ortezzano, Potenza Picena, Petriolo, Santa Vittoria in Matenano, Sant’Angelo in Pontano, e dulcis in fundo Sant’Elpidio a Mare. Di questi 63 nomi non posso toccarli tutti per esigenza di brevità, altrimenti vi annoiereste tantissimo; ma qualche nome bisogna pur farlo.

Si è già accennato a Lucidio Ceci, quindi andiamo a Montegiorgio ma non per Lucidio Ceci che come Aloe, conoscete già più che bene. Parliamo invece di Monsignor Giuseppe Petrelli, che è stata una figura fondamentale, morto non tanti anni fa, negli anni 50 e quindi anche abbastanza recente come figura. È stato il primo vescovo della Diocesi di Lipa, della istituenda diocesi di Lipa, ancora oggi estremamente venerato e ricordato soprattutto come fondatore del seminario, come ideatore di un clero filippino formato e istituzionalizzato; e soprattutto rispettoso dei costumi locali. È stato infatti, sì, un missionario, ma con la profonda conoscenza del territorio! Lui era a Lipa, quindi nelle Filippine; ma mentre era vescovo di Lipa, divenne anche delegato per la Santa Sede nel Giappone. E infatti quando nel 1915 ci fu l’incoronazione di un nuovo imperatore, la persona più autorevole  legata a Propaganda Fide era Petrelli,  appunto perché era lì nelle Filippine, fu delegato lui ad andare ad assistere ai giorni di festeggiamenti dell’imperatore, soprattutto con uno scopo particolare. Nel 1915 in Europa infuriava la battaglia che noi chiamiamo Prima Guerra Mondiale; e l’ingresso in guerra del Giappone poteva diventare particolarmente scottante perché gli equilibri sarebbero poi stati completamente differenti.  E per questo si chiedeva, attraverso anche l’azione di Petrelli, un momento di mediazione e lui riuscì a scongiurare l’entrare in guerra del Giappone. Anche se però successivamente alla fine della Prima Guerra Mondiale ci fu l’invasione della Manciuria da parte del Giappone. Nel 2007 ci fu una delegazione delle Filippine  a Montegiorgio dove portarono la Madonna di Lipa proprio in onore del ricordo del primo vescovo di Lipa. A proposito della Madonna di Lipa, c’è stato un dibattito teologico, tutto interno alla chiesa, che aveva visto contrapposti da una parte la Santa Sede che non riconosceva l’aspetto miracoloso della statua e non aveva dato l’autorizzazione alla venerazione, mentre il vescovo locale sì. Alla fine, pochi anni fa, è stato decretato che la Madonna di Lipa è venerabile ma non ha avuto segni miracolosi. Ma questo a noi qui interessa poco; più che altro per andare ad approfondire un tema per cui i nostri missionari entrano e si incarnano in una storia totalmente locale, anche se partono dalle nostre terre!

Chi ha fatto la parte del leone però è stato sicuramente l’ordine Francescano. senza ombra di dubbio, a partire da Giovanni di Pian del Carmine, contemporaneo di San Francesco, che va in Mongolia. Pian del Carpine è un paese dell’Umbria che oggi si chiama Magione, situato sulle sponde del Lago Trasimeno. Lui scrisse l’Historia Mongalorum ed è stato quindi  il primo a scrivere l’epopea del Popolo Mongolo perché è andato a visitarlo. Da quel momento in poi, i Francescani hanno sempre lasciato una traccia, sono sempre andati in Oriente seguendo lo spirito della propria Regola che spingeva all’incontro con chi non è cristiano, e che non conosce ancora il cristianesimo.

Fra i Marchigiani ho scelto un nome soltanto. Voi sapete che l’ordine di San Francesco è diviso in più rami, ed io parlo in questo momento degli Osservanti, quindi del ramo principale. L’ordine degli Osservanti è stato l’ultimo a lasciare la Cina durante la rivoluzione di Mao, dopo essere stati perseguitati, arrestati, bombardate le stalle dove si rifugiavano. Padre Francesco Zucca è stato in carcere per oltre 3 anni in condizioni incredibili. Lo stesso è successo anche ad un nostro conterraneo di Monte San Giusto fra Luigi Martinelli, quindi della nostra diocesi. Lui descrive la sua prigionia che è durata più di un anno, tra il 1860 e il 1861. Leggo le sue stesse parole: “Nel muro rispetto alla porta era attaccato una grossa catena di ferro che si allungava sin fuori di quella. e questa distesa dai custodi sul collo, si tenne fermata con una catenella che mi cingeva la gola annodata quindi alla prima. O dolci catene che io portai in ossequio della Cattolica religione!” Lui ha vissuto la prigionia quella vera, quella con la catena al collo;ma al termine di quella sua prigionia ebbe  una prigionia ancora più grande che è quella che lo hanno fatto Vicario Apostolico, vicario vescovile, proprio perché la sua Santità era così affermata da doverlo incatenare in qualche modo perché altrimenti non si sarebbe più fermato.

Fra i rami francescani c’è anche quello dei Cappuccini ovviamente. La loro è una storia molto particolare. Hanno vissuto un’epopea missionaria, questo lo possiamo tranquillamente dire. Morganti prima ha accennato a quello che è accaduto in Tibet. Che cosa è accaduto in Tibet? Nel 1700, Propaganda Fide incaricò la Provincia Picena dei Cappuccini di andare in Tibet. Per 75 anni, 50 missionari, tutti cappuccini della Regione Marche, si sono recati in Tibet! Cappuccini che andavano in Tibet con i soli sandali ai piedi! Pensate al Tibet di oggi, immaginatevi il Tibet del 1700 e immaginatevi di percorrere le strade di Lhasa le strade dei viaggi sperduti con i soli sandali ai piedi. Andavano a prestare servizio di qualsiasi tipo, erano i primi soccorritori, erano i primi medici, erano i barellieri, spesso non potevano portare l’abito. Alla fine riescono addirittura a farsi concedere dal Dalay Lama dell’epoca, una stanza da poter addirittura adibire a cappella! Tanto erano rispettati, tanto erano amati dalla popolazione, che riuscirono anche ad avere una propria cappella a Lhasa che era un centro buddista in assoluto più importante del mondo

Quali erano i loro nomi? Andiamo a vederne qualcuno: Bonaventura da Lapedona, Liborio da Fermo, Giovanni Gualberto da Massa Fermana, Costantino da Loro Piceno e Serafino da Civitanova. Questi sono i nomi che dalla nostra diocesi partirono per il Tibet. Franco ricordava prima, quando ancora non eravamo collegati, come una decina  di anni fa, sono partite un gruppo di persone, fra cui un vostro associato di allora, Giacomo Rocchetti,  per andare a riprendere la prima campana che i Missionari cappuccini delle Marche avevano portato in Tibet, la prima e unica campana cattolica cristiana che aveva suonato sul tetto del mondo.  A causa di un terremoto essa una volta era caduta o forse soprattutto per i bombardamenti cinesi; era caduta e si era rotta. Questo gruppo di persone la ritrovarono e ne fecero un calco per riprodurla poi da noi. E il calco di questa campana, con la sua frattura presente nel calco come si può vedere, oggi è presente in due punti della nostra diocesi: dentro al Museo delle Missioni dei Cappuccini a Recanati e a Pennabilli, dove è presente un’associazione in ricordo di fra Orazio della Penna, citato prima da Morganti. La presenza del calco di questa campana a Pennabilli è anche perché quella campana del 1700, portata a Lhasa, dove si trova tutt’ora, era stata costruita proprio a Pennabilli.

Inoltre Costantino da Loro e Serafino da Civitanova portarono qualcosa di ancora più traumatico della campana. La campana è già un segno molto forte per la cristianità, ma c’è qualcosa che distingue la religione cattolica dalle altre e che secondo me è una delle sue principali caratteristiche: la buona stampa! Portarono una tipografia nel 700! Provate ad immaginare queste persone che coi sandali e col saio, attraversarono l’Europa, l’oceano, l’India, i monti più alti del mondo, per portare una macchina tipografica per capire un po’ la difficoltà di questi trasferimenti. Il primo gruppo di Cappuccini che andò in Tibet impiegò 3 anni e mezzo per fare il viaggio, perché lungo il percorso prima dovevano prendere dei contatti, dovevano prendere le prime esperienze, dovevo andare a parlare con i vescovi locali, le mille traversie, le guerre, le malattie che incontravano, ecc.  3 anni e mezzo! Ed erano uno di Ascoli e l’altro era di Fano. In media comunque il viaggio non durava mai meno di un anno, era difficilissimo, si impiegava tantissimo anche soltanto per arrivare allo Yemen che era la porta d’Europa verso l’oriente; da lì partivano le imbarcazioni della Compagnia delle Indie francesi.

Tra l’altro, i nostri missionari lasciarono quasi sempre un diario di viaggio. A me, ogni tanto, piace leggere le parole vive di questi testimoni. Costantino da Loro: “si camminò fra i monti e dopo passato tre volte un fiume due a guazzo ed uno sopra un lungo ed alto ponte di una di una sola trave salimmo un alto monte alla cui destra erano altissimi precipizi sull’orlo dei quali convenne camminare per via ben angusta; ma una intensa nebbia ci impedì di rimirare in tutto i dirupi”.  Poi continua: “vedendo io un ponte di foggia non più veduta per passare il fiume, mi si gelò nelle vene il sangue e cominciai a tremare da capo a piedi: il ponte era composto da due grosse catene ai lati ciascuna delle catene, tutte di ferro, costava di 156 anelli”. Fra l’altro Costantino da Loro viaggia insieme a Cristiano Belligatti di Macerata. Cristiano Belligatti lascia anche lui un diario di viaggio ma lui lo disegna, disegna esattamente queste cose. In una delle prossime pubblicazioni ci saranno i disegni originali di Cristiano Belligatti e sarà interessante vedere come queste cose poi riportano. Finisce un altro pezzo di racconto: “Il clima di Lhasa, e di altre province del regno, è assai freddoso e quel che è peggio, non vi sono legne da scaldarsi. Per legna si intende lo sterco di animali quali ordinariamente serve per far fuochi da queste parti per la gran penuria di legna”. Anche Serafino da Civitanova scrive un suo diario che si chiama “Viaggio di un missionario marchigiano in missione in Tibet” pubblicato a Civitanova pochi anni fa. È molto interessante!

I Francescani sono stati anche in Georgia, dove troviamo in particolare soprattutto un altro ramo di Francescani, i Conventuali. Fra questi Conventuali, ma non della Diocesi di Fermo, ce n’è uno,  fra Lucarelli che tra l’altro è beato, secondo la canonizzazione della chiesa, che nel 1500 va nelle Filippine, negli stessi luoghi che poi vedranno Petrelli come primo Vescovo. Petrelli era della diocesi di Fermo, mentre Lucarelli era della zona del pesarese. È un marchigiano che nel 1500 fa un viaggio per le Filippine, parte del quale nelle zone di Lipa, anche se poi lui si sposterà un po’ più a nord. Però inaugura, passatemi il termine, una via di comunicazione fra le Marche e le Filippine che poi verrà ripresa da Petrelli 500 anni dopo!

In Georgia troviamo Antonio da Fermo, Emilio da Morrovalle, che tra l’altro è stato cacciato brutalmente da queste zone; Anselmo da Potenza Picena che è stato proprio l’ultimo e che non se ne voleva andare, anche lui imprigionato. Un altro luogo di missione è stato la Crimea. In Crimea sono andati e tornati tantissimi degli stessi della Georgia, che per non lasciare quelle zone si interfacciano con la Crimea. Questo è uno dei luoghi più belli della Crimea che io vorrei tanto visitare. Sono i Castelli Genovesi sul Mar Nero. I castelli genovesi sul Mar Nero sono una cosa eccezionale. Crimea, Romania, Bulgaria e poi per tutta quanta la Moldavia fino ad arrivare in Ucraina del Sud dove c’era l’ultima delle diocesi genovesi e poi  veneziane.

Questi sono i luoghi che hanno toccato i nostri Marchigiani

Dalla storia passata alla vita presente

Per terminare, qualcosa che per me è stato molto particolare: ho incontrato persone viventi che poi ho intervistato! Io ho fatto il percorso contrario al vostro. Voi siete partiti dal fatto che esistevano dei Missionari e voi li appoggiate e li aiutate; e da qui vi siete interessati anche alla parte storica! Io invece che questa possibilità non la conoscevo, sono partito dagli archivi polverosi e sono andato a incontrare l’umanità e mi sono chiesto: ma esiste ancora oggi qualche testimone che della diocesi che è stato in Oriente? E tra questi nomi ho trovato Orlando Quintabà missionario in India e ancora vivente. L’ho intervistato dove lui adesso vive, a Caserta, nella seconda base, passatemi il termine, del PIME, che è il Pontificio Istituto Missioni Estere. La cosa incredibile, è che i suoi racconti sanno dei libri di Cristiano Belligatti, sanno dei libri di Costantino da Loro cioè sembrano un diario di viaggio come quelli di questi missionari storici. Poi un giorno magari vi faccio ascoltare l’intervista che ho registrato, perché è davvero toccante!

Orlando è una persona incredibile, di un’umiltà assoluta. Mi raccontava che dopo un po’ che stava in una missione,veniva spostato. “Ma perché venivi spostato?” gli chiedevo. Lui mi rispondeva che, un volta che si è creata la comunità, che più o meno tutti quanti diventano cristiani, a che serviva rimanere? “A quel punto chiedevo un prete della Diocesi per quella comunità, e io andavo avanti da un’altra parte!” Non è davvero poco quello che mi raccontava. Ma questo è solo uno dei tanti aneddoti. Lui mi ha fatto notare qualcosa che dalle fonti di archivio è ancora più stravagante: lui ha vissuto con le stesse comunità che poco più di 100 anni prima avevano incontrato Giovan Battista Ciccolungo, missionario di Fermo, appartenente ad una famiglia notabile di Fermo. Lui ha una storia molto particolare: ha una vocazione tardiva. Nell’800 a 30 anni insomma era abbastanza improbabile avere questa vocazione; ma lui alla fine incontra un missionario del Pime che lo coinvolge. È stato uno dei primissimi missionari del PIME, sicuramente uno dei primi delle Marche. Ad un certo punto va a Milano, dove loro hanno la sede di formazione! E poi va in India! Inaugura una relazione con le popolazioni indiane molto particolari e molto presto! È vero che i Marchigiani in India hanno avuto dei contatti molto presto, con ad esempio il Beato Tommaso da Tolentino e tra l’altro una storia tutta da scoprire, meravigliosa, e stiamo parlando del 400; però era soltanto la fascia litoranea, la fascia dei grandi porti con cui l’Europa si interfacciava per gli scambi commerciali. Giovan Battista Ciccolungo e poi Quintabà vanno invece nel centro, nelle foreste, nei villaggi; si incamminano andando ad aprire quella strada che 200 anni prima avevano fatto gli stessi Cappuccini, ma dove non si sono fermati perché il loro obiettivo era il Tibet! Quindi non le grandi città come Chandnagor, oppure le grandi città della costa, ma proprio quelle zone rurali che in qualche modo ci si confanno un po’ di più come marchigiani. Anche lui però ha avuto delle situazioni molto stravaganti e a un certo punto deve tornare. Il vescovo di Fermo di allora lo richiama perché aveva bisogno di preti. Molti si erano ammalati, perché era il periodo del tifo ed è lo stesso periodo in cui muore fra Marcellino da Capradosso. In quel periodo lì Giovanbattista Ciccolungo sarà uno di quelli che andrà ad aiutare a curare la penetrazione di tifo all’interno del convento dei Cappuccini di Fermo, come Cappellano ospedaliero e anche lui si ammalerà e morirà di tifo, esattamente come fra Marcellino da Capradosso.

Conclusione

Quindi un po’ per tornare a noi come conclusione, noi abbiamo in diocesi delle peculiarità molto impotanti, perché parliamo di una realtà certamente grande come quella di Fermo, ma che può esprimere numeri, come vi ho detto prima, davvero incredibili per il solo Oriente. Ricordiamo questi numeri – 29 comuni che mandano 63 missionari! Le Marche sono oggi una regione fondamentalmente piccola:  siamo 1 milione e mezzo circa di abitanti; ma nel ‘700 eravamo poco più di mezzo milione, eppure abbiamo visto quanti legami sono stati costruiti con l’immenso territorio dell’Oriente, come siamo incarnati in un mondo globale che è più vicino di quello che sembra! Nel 700, ma anche nei secoli precedenti, nel 500, nel , riuscivano ad avvicinare espressioni, popoli, culture, ma anche soprattutto la nostra fede! Quindi io vado in chiusura e sono aperto a qualunque tipo di domanda e grazie per l’ascolto. Grazie soprattutto per il sostegno che date alle Missioni.

FRANCO. Grazie Emanuele per questa carrellata che ci ha fatto percepire come queste sono semplicemente delle piccole cose rispetto a un mondo più grande che è veramente interessante da  scoprire. Magari questo incontro potrebbe dare sviluppo a tutta una serie di altri incontri, perché parliamo di tanti personaggi di cui ci hai appena accennato, e di tantissimi altri compresi in questi numeri: 29 comuni del Fermano, 63 persone della diocesi di Fermo; 102 comuni in tutta la regione  con 375 missionari!  Quindi un realtà storica veramente notevole, una ricchezza davvero nascosta, sconosciuta ai più. Chi conosce queste storie? Non le conosce nessuno, eppure dimostrano un legame forte con il mondo, molto prima e molto più forte di quello di cui ci parla oggi la tecnologia. Insomma a me ha colpito tutto questo. Sapevo della campana trasportata a Lhasa nel 700, ma non sapevo, o forse non me la ricordavo, la storia del torchio, perché la tipografia era un torchio, immagino pesantissimo, più pesante della campana, trasportato anche esso dalle Marche al Tibet. Sono storie davvero molto interessanti.  Ci penseremo per uno sviluppo futuro, cioè che da questo incontro magari potrebbe nascere poi un altro percorso specifico di incontri.; insomma c’è spazio veramente per recuperare una storia che noi abbiamo, ma di cui non conosciamo quasi nulla. Adesso però penso che ci siano interventi .

Gli interventi del pubblico presente

ALESSANDRA. Io ringrazio per questo enorme contributo che ci avete dato, perché è magari qualcosa di cui abbiamo sentito lontanamente parlare, ma sul quale non ci siamo mai messi nella condizione di poterlo approfondire. Quindi è veramente un grande contributo questo che ci avete dato per la conoscenza anche del nostro territorio, delle radici della nostra cultura, della nostra spiritualità. Però, anche per deformazione professionale, ho una curiosità. Al di là delle grandissime difficoltà che a quei tempi queste persone affrontavano per raggiungere quei luoghi, ma quando arrivavano sul territorio, tu hai detto che riuscivano a familiarizzare, ma in che lingua parlavano?

EMANUELE. Questa è una domanda  davvero  intelligente, una di quelle che anche io mi sono posto e che è abbastanza interessante perché ognuno di loro si è confrontato con la lingua in maniera differente. All’inizio interagivano con gli europei che erano già sul posto e attraverso gli europei sul posto, riuscivano a trovare dei contatti per imparare le lingue. Però ve lo voglio raccontare con le parole di Orlando, che è recente, è del nostro secolo. Lui in qualche modo dice la stessa cosa che aveva detto precedentemente Giovanbattista Ciccolungo e prima ancora Costantino da Loro. Fondamentalmente lui ha avuto, come missionario del PIME, la possibilità di imparare l’inglese. Ha imparato l’inglese in una scuola a Londra, ma non in una scuola per adulti. In quel periodo i missionari venivano mandati alle Scuole Elementari di lingua inglese. Orlando racconta infatti che imparò l’inglese in un anno con i bambini di Prima Elementare. Poi fu costretto ad andare in Spagna a prendersi un “brevetto” come lo chiamava lui. Cioè in quel periodo ancora c’era l’obbligo, per chi andava all’estero, di saper fare un mestiere, perché i missionari non venivano accettati come promotori di una religione, ma perché sapevano affrontare un mestiere, certificato dal brevetto. Questi “brevetti” spesso erano di “medicina”, medicina da campo. Nel caso di Orlando era proprio sul lebbrosario; quindi era una specializzazione sul lebbrosario. Lui quindi fu costretto per questo ad andare in Spagna e lì imparò anche prima lo spagnolo e poi il portoghese. Voi immaginatevi questo signore che partiva da Civitanova Alta, da una famiglia abbastanza umile di pescatori, che prima impara l’inglese con i bambini delle Elementari, poi vai in Spagna impara Spagnolo e Portoghese. Quindi va in India e mentre naviga verso l’India, in mare nell’oceano con i marinai inizia ad affrontare le prime parole di Indù. Comincia ad interagisce quindi prima con le popolazioni europee parlando quindi inglese e portoghese; e poi inizia a sgranocchiare un  po’ di Indù e così via. Alla fine io ho chiesto ad Orlando: “Ma adesso quante lingue parli?”  “Non lo so; 8 o 9 sono le lingue indiane” E comincia a snocciolarmi i vari nomi che non ricordo, perché io non snocciolo neanche l’ inglese a momenti. 

Quindi per interagire con le popolazioni locali, la prima cosa che fa impara la lingua del posto, partendo dalla sua formazione di latino, di italiano, di inglese, di spagnolo.  Questa apertura verso le lingue, nell’antichità era un po’ diverso, soprattutto se parliamo del 400 del 500.  I missionari principalmente interagivano con le popolazioni europee che erano nelle stazioni commerciali. Poi quelli un po’ più abituati come Lucarelli a cui facevo menzione prima, interagivano anche con le macro lingue come la lingua araba ad esempio, come la lingua dei tartari, Quindi c’erano dei centri che preparavano all’invio, quindi attraverso la lingua. Però nel posto poi ognuno si adattava alla situazione. Ogni storia è una storia differente. Quella della lingua è una delle sotto storie davvero più rimarchevoli ed affascinanti

MARIO. Solo una curiosità, volevo ricordare Giuseppe Milozzi che era di Falerone. Nel 1948 circa si è sposato un mio zio e io ho fatto il paggetto. Il celebrante era un missionario piccolo di statura, minuto, tornato da poco dall’India e rimasto per una decina di giorni e proprio in quell’occasione si era sposato  mio zio e lui aveva celebrato il matrimonio. Bellissimo il mondo della missione che poi ritorna nella quotidianità.

EMANUELE. Su questo tema per esempio possiamo citare Petrelli, l’arcivescovo di Lipa nelle Filippine. C’è stata una pubblicazione fatta dal diacono Mario Liberati. Quando Petrelli poi si era ritirato in diocesi, si mise a disposizione come vescovo emerito. Mario liberati ricevette la cresima da Monsignor Petrelli e oggi lui scrive di missionarietà grazie proprio a Monsignor Petrelli. Quindi anche questo è un ritorno, una contaminazione, un ricordo che continua.

FRANCO. Emanuele ha citato più volte questo Monsignor Petrelli e a questo proposito vorrei sottolineare una cosa, come una comunità locale, in questo caso Montegiorgio, ha saputo valorizzare questa storia. Se voi andate in piazza a Montegiorgio, c’è un colonnato e su ogni colonna di questo colonnato ci sono lapide commemorative di personaggi storici di questo paese. Beh il penultimo è proprio Monsignor Petrelli, perché don Pierluigi Ciccarè, l’attuale parroco ha saputo valorizzare questa presenza da proporre questo all’amministrazione comunale. Monsignor Petrelli quindi non solo è stato un missionario, ma per Montegiorgio è anche un personaggio storico riconosciuto. Poi accanto a Monsignor Petrelli c’è un’altra colonna con una lapide commemorativa. Poi c’è l’ultima colonna ancora libera, e “questa sarà per te” ho detto scherzando a Don Pierluigi.  Però sulla penultima c’è Lucidio Ceci, che è un personaggio a cui noi siamo legati tantissimo e che abbiamo fatto riscoprire a Montegiorgio! Perciò a Montegiorgio, il parroco, il comune, l’amministrazione comunale, la scuola, tutti insieme hanno saputo valorizzare questa persona che oltre ad essere stato un missionario, è stato un cittadino montegiorgese che ha lavorato per 50 anni in Bangladesh portando sviluppo a quel paese. Montegiorgio, sia nella Diocesi che nella Provincia di Fermo è  probabilmente la comunità civile, cittadina e parrocchiale che forse ha saputo cogliere di più questo aspetto, per il quale noi vorremmo lavorare, anche organizzando eventi come quello di questa sera.

ANNA. Buonasera Io ho una curiosità. Sono di Corridonia. Non so se conosce il professor Giorgio Quintili che ha organizzato una mostra bellissima nel 2010 proprio in seguito a questa ricerca dei missionari di Corridonia in Oriente e insieme la mostra del padre Matteo Ricci che abbiamo allestito nella chiesa di San Francesco a Corridonia. La figura di Padre Matteo Ricci, una persona davvero straordinaria ma non conosciuta da noi. Adesso si sta cominciando a conoscerlo, ma nel 2010, 15 anni fa, no. Ed è stata veramente una figura straordinaria. Nella ricerca per quella mostra erano anche emersi altri missionari, come Giuseppe Zamponi che era stato Cina ed altri. Quindi diciamo anche che questo studio è molto interessante. Non so se anche questi sono nel suo elenco.

EMANUELE. Se volete l’elenco dei nomi dei missionari ve li posso anche girare, non sono nomi con diritto di copyright. Corridonia ha dato tanto e tanto e sta dando ancora alla missionarietà. Dovete essere una comunità abbastanza contenta di quello che state producendo e che avete fatto. Ci sono anche delle associazioni di missionari, fino a qualche anno fa c’era padre Ilario Trobbiani nelle Filippine, ora c’è padre Stefano Camerlengo in Costa d’Avorio.

TARSETTI GABRIELE. Io sono Gabriele Tarsetti, sono uno degli studiosi che ha riscoperto la figura di Teodorico Pedrini. Insieme a Fabio Galeffi, ormai da più di 15 anni a questa parte, abbiamo scritto diversi saggi e un volume di epistolario, piuttosto corposo, per l’editore Quodlibet. (“Son mandato à Cina, à Cina vado. Lettere dalla Missione 1702-1744”, a cura di F.G. Galeffi – G. Tarsetti, Quodlibet, Macerata 2018).

Ringrazio Emanuele per aver citato tante volte la figura di Teodorico Pedrini che è nato a Fermo, qui alla parrocchia di San Michele Arcangelo, non molto lontano da qui. È diventato uno dei protagonisti di una storia veramente affascinante, ma chiaramente non è questa la sede per raccontarla. Era uno dei tanti missionari marchigiani in Oriente, molti dei quali incontrò egli stesso anche là in Cina; come Carlo da Castorano per esempio, che non era della diocesi di Fermo ma era un altro francescano partito da un convento dell’Abruzzo, poi andato a Roma e quindi in Cina dove diventò segretario del vescovo di Pechino. Prima Alessandra chiedeva della lingua: per esempio il vescovo di Pechino dei primi del ‘700 che era Bernardino Dalla Chiesa, il quale non parlava cinese e dipendeva da Carlo da Castorano quale suo segretario e persona che lo faceva interagire con la comunità cinese, perché Castorano conosceva il cinese, e scrisse anche un dizionario di cinese.

Mi viene poi in mente il gesuita Giovanni Laureati, per esempio, da Montecosaro, che fu Visitatore dei Gesuiti a Pechino e quindi era il primo responsabile di tutta la compagnia di Gesù in Cina e veniva da Montecosaro, Diocesi di Fermo. Era gesuita e quindi per Teodorico Pedrini era un avversario all’interno della famosa Controversia dei Riti. Qui non è stata citata per niente la Controversia dei Riti perché fu un problema enorme e delicatissimo dal punto di vista strettamente teologico. Basti solo dire che mentre Laureati era gesuita e quindi vedeva il problema in un certo modo, Teodorico Pedrini era un lazzarista, un vincenziano, e come tale era uno strenuo difensore delle posizioni della Santa Sede. Quindi erano, inutile negarlo, rivali. Ma erano rivali i loro ordini religiosi, ma le persone no. Tra Laureati e Teodorico Pedrini ci furono degli incontri e si prefigurarono delle strade che potevano portare ad una pacificazione della missione in Cina. Due sacerdoti che venivano da due paesi distanti di 30/40 km uno dall’altro, dall’altra parte del mondo loro si incontrarono e avrebbero potuto trovare una strada, una soluzione a quel problema, avrebbero potuto pacificare la missione in Cina. Però poi vennero a galla tutta una serie di altri interessi che impedirono a loro due di portare a termine questa cosa. Abbiamo una lettera di Pedrini, molto bella, dove egli racconta come “Io e Laureati eravamo a un passo da risolvere la questione”.

Sono delle figure e avventure veramente affascinanti. Prima qualcuno ha chiesto del viaggio. Il viaggio di Pedrini è durato 9 anni. Da Roma, dove risiedeva già da 5 anni, a Pechino ci ha messo 9 anni, fermandosi per molto tempo in diversi paesi, come Francia, Cile, Perù, Messico. Erano dei viaggi spaventosi, cambiavano diverse navi. Pedrini descrive come dentro la nave ci fossero allevamenti di animali, trasportavano interi pollai, maiali e pecore vivi da mangiare durante i lunghi viaggi in mare che duravano mesi e mesi. È una storia affascinante da tutti i punti di vista, sia dal punto di vista strettamente teologico, che dal punto di vista storico e biografico, dal punto di vista dei viaggi. Tutto un ambito di letteratura storica e odeporica che è fantastico, veramente eccezionale. Noi abbiamo studiato la particolare esperienza di Petrini, ma in realtà ci sono dei missionari che hanno viaggiato via terra verso la Cina, pochissimi in realtà, perché la maggior parte viaggiavano via mare. Il mare era forse più pericoloso perché c’era rischio di tempeste e naufragi, ma era più sicuro, perché una volta saliti sulla nave la tappa successiva era il porto di destinazione, o l’India o Macao; si era già in Estremo Oriente. Mentre invece via terra bisognava attraversare migliaia di chilometri con tante nazioni diverse, di regni diversi, di guerre e di montagne, vallate, deserti, e spesso bande di predoni. Una storia davvero eccezionale e ti ringrazio di averla citata.

FRANCO. Si è parlato un po’ del discorso Cina con Matteo Ricci che è di Macerata. Quello che non ho capito è se ci siano dei Gesuiti di Fermo che erano del gruppo di Matteo Ricci; e questo quindi in relazione con la famosa controversia dei Riti che come dice Tarsetti forse è meglio non iniziare   perché è molto complicata. Però mi interessava sapere la consistenza dei Gesuiti di Fermo che erano diciamo con il gruppo di Matteo Ricci, per pura curiosità. Nel 2010, a 400 anni dalla morte di Matteo Ricci, qui a Fermo c’è stata una mostra missionaria su di lui. Io ricordo vi averla portata al Montani.

TARSETTI. Da quanto abbiamo incontrato noi nelle nostre ricerche, il più vicino è Giovanni Laureati che era di Montecosaro, diocesi di Fermo. Giovanni Laureati è stato visitatore dei Gesuiti a Pechino tra il 1718 e il 1721. Però proprio da Fermo città non mi risulta. Ma vorrei aggiungere solo un’informazione forse utile. Il Liceo classico ha fatto un lavoro molto bello sulle lettere scritte dai giovani fermani che volevano partire in missione con i Gesuiti. Quindi, in collaborazione con l’istituto di ricerca di Boston (Institute for advanced Jesuit Studies), hanno fatto una bella pubblicazione, edita da Andrea Livi l’anno scorso, in cui hanno pubblicato le litterae indipetae dei giovani gesuiti che chiedevano di partire per le missioni; e lì ci sono evidenziate tutte le motivazioni che li spingevano a partire, tutte le loro richieste di partire. (Da Fermo al Mondo. Missionari gesuiti del Fermano in terre ultramarine, a cura di marina Massimi, Andrea Livi editore Aprile 2024)

EMANUELE. Posso prendere l’elenco generale, così vediamo di poter rispondere  a questa domanda a proposito dei Gesuiti della Diocesi di Fermo: oltre a Giovanni Laureati, Osvaldo Castellucci di Falerone, Giulio Piani, Oliviero Toscanelli, Giulio Mancinelli, Angelo Schiatti, Giovanni Paolo Vannini. Questi però sono di tutti quanti i secoli analizzati, non per forza corrispondenti al periodo di Ricci. Visto che parliamo di elenchi, un’altra cosa che magari può essere interessante è quella del fatto che i Marchigiani stessi, dentro Propaganda Fidae avevano un peso molto forte. Pensate che ci sono stati 14 fra Cardinali e Arcivescovi marchigiani come Prefetti o Segretari di Propaganda Fidae.

OMBRETTA. Bellissimo il lavoro che hai fatto, veramente profondo. Noi siamo abituati a fare una lettura un po’ orizzontale dell’attualità missionaria; tu ci hai offerto quella verticale del tempo. È un lavoro preziosissimo che però si lega alla contemporaneità.  Ritroviamo il fatto che la promozione umana viene prima di battezzare, prima di convertire – portavano la stamperia, e tante altre tecnologie di allora – ci accomuna. Anche adesso, vicino alla chiesa c’è sempre un dispensario, c’è il pozzo, c’è l’orto, c’è la scuoletta. Ecco questo noi l’abbiamo scoperto facilmente in questo aspetto della promozione umana. E poi soprattutto il viaggio: il viaggio che dalla terra madre si va alla terra sposa, per dirla con le parole di Paolo Dell’Oglio, perché lui la Siria l’ha sposata e c’è morto pure perché non lo vediamo più e non si sa più niente di lui. Far conoscere queste storie, questa missionarietà d’altri tempi o comunque pur sempre contemporanea, che ci rimanda un tipo di mondialità fondato sulla conoscenza, sull’interazione, sul capire l’altro che, sebbene così lontano, fondamentalmente ha gli stessi bisogni nostri. È un lavoro culturale da far conoscere a 360°.

ATTILIO. Grazie Emanuele per questa carrellata e per l’incontro. Io mi riallaccio un pochino all’ultimo intervento di Ombretta perché credo che questa analisi storica a partire appunto dal più illustre Matteo Ricci e tutti gli altri che abbiamo citato questa sera, innanzitutto ci deve aiutare a capire quanto le nostre comunità, a cui noi stessi apparteniamo, in tempi in cui non era facile aprirsi al mondo, in realtà erano molto aperte al mondo; ed erano aperte per il duplice aspetto della conoscenza, della necessità di incontrare l’altro, quindi la coscienza di essere bisognosi del collegamento con l’altro e ovviamente dell’interesse verso l’altro il missionario che parte perchè è interessato all’altro nella sua totalità. Quindi come persona da avvicinare a Dio, ma come persona anche da accompagnare, da capire. Quindi da qui le attività che tutti i missionari facevano sia per essere accettati ma anche per essere appunto vicini utili alle persone. Queste sono storie che per noi diventano anche lezione di vita. Oggi, in un contesto in cui il mondo è a portata di mano, facciamo molta più difficoltà dei nostri predecessori ad avere questa apertura verso gli altri. Ovviamente qui c’era un impegno ad vitam, visto che si parlava di un viaggio che durava una vita intera. Oggi non è più possibile, ma non è neanche più necessario perché oggi un viaggio dura poche ore e quindi il collegamento col mondo è molto più semplice. Ma la nostra capacità, la nostra voglia di essere in relazione con gli altri, in relazione col mondo, con i lontani, dovrebbe essere la stessa. E questa credo che sia la lezione che dobbiamo raccogliere dalla storia dei nostri paesi e di questi illustri personaggi che sono legati al nostro territorio e alla nostra gente.

FABIANO. Grazie Emanuele, esaustivo e veloce come sempre. Mi viene in mente di chiederti come si parte per una missione, come nasce questa vocazione; se è un rispondere ad una esigenza che proviene dal paese in cui si svolge la missione oppure se è un ordine del vescovo e poi se ci può dire perché hai escluso nel tuo studio il mondo femminile.

EMANUELE. Parto dalla seconda risposta che è più semplice perché è una cosa mia personale; pr l’altra lascio rispondere Franco, perché quella è un po’ più complicata. Allora: perché ho escluso il ramo femminile? Perchè il ramo femminile è più complicato. Noi immaginiamo le monache, le suore come fossero delle recluse. In realtà non è così. Loro sono profondamente radicate nel mondo e conoscono perfettamente il mondo nonostante sembrino recluse. Il fatto però dell’esclusione in questa ricerca è perché i monasteri femminili hanno un corpo giuridico a parte e quindi sono autocefale, mentre gli ordini maschili hanno degli archivi controllati dalla congregazione, dal capo della provincia a cui appartengono. Ad esempio i Cappuccini Marchigiani hanno un archivio della Provincia Marchigiana; i Francescani hanno un archivio della Provincia Francescana e così via. Il Pime ha quello centrale, perché come provincia ha tutta Italia e così via per tutti quanti gli altri ordini.

Per il mondo del monachesimo femminile è un po’ più complicato; ogni monastero ha un proprio archivio, e quando abbiamo la nascita di nuovi monasteri questi archivi vengono traslati in maniera diciamo estemporanea, poco tracciabile. Soltanto l’andare a tracciare gli archivi femminili è un lavoro a parte. Non ho avuto né il tempo né le possibilità di fare una ricerca del genere; anche se andrebbe fatta. Se lo facessimo. secondo me scopriremo dei numeri che sono quantomeno gli stessi. Posso dire qualcosa soltanto per le Filippine di cui so che sono tantissime le donne di diversi ordini partite per le Filippine. Un esempio: la Beata Pallotta di Force, che è della nostra Diocesi, Missionaria in Cina. Tra l’altro padre Ilario Trobbiani di Corridonia che tu hai citato prima, parte come missionario perché lui ha l’amore per la beata Pallotta, come troviamo scritto nel libro che mi hai donato. Sui numeri relativi alla Diocesi di Fermo negli anni 60, ci sono le suore chiamate “Le Figlie della Carità”: da Montefiore sono partite in quattro per il Libano. Da Montefiore al Libano negli anni 60. Quindi immaginate quanto possa essere numericamente esplosivo il fenomeno. Mi auguro di poter affrontare questo tema, ma servirebbe una vita.

Per quanto riguarda il tema di chi sceglie la missione lascio a Franco la risposta. Posso dare una risposta a livello storico e non solo esistenziale. Allora a livello storico rispondo che spesso è una esigenza dell’ordine. San Francesco invita Giovanni da Pian del Carpine ad andare in Mongolia. Nell’Ordine Francescano c’è una parte della Regola che invita ad andare “tra i Saraceni”. È un invito. Poi ci sono gli ordini specificamente missionari come il Pime, i Saveriani, i Comboniani, ecc. congregazione nate per le Missioni. Nel 500 inizia a nascere Propaganda Fidae che poi si struttura per la promozione delle Missioni. Ma lascio la parola a Franco.

FRANCO. Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda di Fabiano, credo che Emanuele abbia già dato la risposta: molto dipende dalla congregazione! Tu sei dentro una congregazione e ti propongono anche la missione e la missione in un determinato paese. Di più su questa risposta non è facile, perché diventa un discorso personale ed esistenziale ed allora bisognerebbe chiedere ad ogni singola persona.

Ma visto che abbiamo parlato di “congregazioni” missionarie e di “ordini religiosi” da cui partono missionari, voglio fare una considerazione più generale. Il lavoro che Aloe ha tentato di fare in 25 anni e il lavoro che il Parco Storico-letterario sta cercando di fare – Aloe sulla presenza nel mondo dei Missionari viventi e il Parco sulla storia dei missionari marchigiani -, è in realtà una cosa nuova. Nella Chiesa, fino al Concilio Vaticano II, ma in realtà fino ad oggi, uno che appartiene a un Ordine Religioso, fa riferimento solamente al suo Ordine Religioso. Noi parliamo di missionari originari di Fermo come una comunità. Ma nella Chiesa questo discorso non c’è! Cioè, i Cappuccini hanno le loro missioni; i Sveriani hanno le loro missioni, i Missionari della Consolata hanno le loro missioni, e così via. E questo ancora oggi, anche se c’è stato un Concilio Vaticano II, anche se c’è stata la Lumen Gentium con una concezione diversa di chiesa, basata sulla chiesa locale, sull’importanza della chiesa locale e delle sue comunità locali. Ma tutto questo difatti non c’è. Non solo, ma si ha anche l’impressione che i famosi preti “Fidei donum” della diocesi vengano considerati come “i missionari della diocesi”, come se la diocesi stessa fosse un altro soggetto accanto agli ordini religiosi e alle congregazioni missionarie. La Diocesi ha la sua missione o ha le sue missioni, come se fosse un altro ordine religioso o congregazione.

Per noi invece – dico “noi” dal punto di vista dei missionari viventi come Aloe, dal punto di vista della missionarietà storica come Parco storico-letterario – il discorso è un altro. Noi siamo un territorio, siamo delle comunità, le comunità del Fermano, i vari comuni  o le varie parrocchie: dipende se vogliamo vedere dal lato ecclesiale o dal lato civile, ma le persone sono le stesse, che vadano in chiesa o non vadano in chiesa, quindi le comunità! Allora, a noi come comunità, non interessa se uno è un cappuccino, se uno è un gesuita, se uno è un lazzarista, ecc. questo ci può interessare al massimo per conoscere le caratteristiche della singola persona. Per me è più importante che sia una persona di Montefiore, di Monterubbiano, di Montecosaro, Montegiorgio ecc. che vive questa dimensione universale.

Questa è la nostra prospettiva, che poi, dal punto di vista del versante ecclesiale, è anche un modo di vivere una ecclesialità più autentica, più secondo secondo il Concilio Vaticano II che mette al centro la comunità locale. Quindi il discorso è grosso, però è anche molto importante. Ma certamente dobbiamo recuperare tutti questi fili, questi legami che legano i nostri territori ai territori del mondo, in un tempo veramente cruciale dove la globalizzazione ci pervade. Apriamo un telefonino, accendiamo la televisione, e pare che ci abbiamo il mondo in casa, ma non ce l’abbiamo il mondo in casa. Questo è un po’ il discorso al quale mi permetto di accostare l’obiettivo di ALOE che è quello che abbiamo perseguito in questi 27 anni: collegarci, indipendentemente dagli ordini religiosi dei missionari stessi, con le persone che sono di questo territorio. Noi spesso parliamo indifferentemente di missionari, ma anche di cittadini del Fermano: sono la stessa cosa, sono sempre loro. Poi dobbiamo dire che ci sono anche persone che non sono missionari ma che hanno lo stesso vissuto. Trovo interessante quindi accostare questo nostro obiettivo a questa vostra dimensione storica. Ritengo che sia una cosa molto importante.

EMANUELE. È chiaro che se c’è un ordine che è propenso alla missione, tu se ci stai dentro è più probabile, non è matematico, ma è più probabile che tu sia spinto alla missione. Ci sono ordini un po’ più classici, come i francescani che non sono specifici per le missioni, ma che hanno anche loro la spinta alla missione.  Lì dentro non è detto che la tua richiesta sia accettata. Esempio attuale dei Cappuccini: fra Giampaolo che ora sta in Benin, voleva fare il missionario da sempre; ma non è stato chiamato alla missione mai, fino a 2/3 anni fa perché non c’era bisogno nella missione, mentre  c’era più bisogno della sua presenza qui. Quindi anche la sua richiesta informale, perché in quel caso non c’è la lettera di richiesta, non è stata mai accolta fino a quando poi, essendo cambiate le situazioni, è potuto partire per il Benin, cosa che ormai non aveva più richiesto. Dopo  25 anni di sacerdozio aveva smesso il sogno della missione; poi invece alla fine è stato chiamato ad andare in Benin in cambio di altri missionari che erano ormai troppo anziani.

Per rimanere sul tema di oggi, Petrelli chiede al vescovo di Fermo dei missionari per le Filippine e il vescovo di Fermo dice che non ha nessuno da potergli mandare; chiede ad un ordine religioso nato da poco, che erano gli Oblati di San Giuseppe e che erano ad Asti, e quelli, dopo un paio d’anni di relazioni, partono da Asti per le Filippine.

Presentazione del percorso dei prossimi incontri

FRANCO. Siamo ormai in chiusura e allora presento il percorso di incontri che è iniziato questa sera. Quello del mese scorso, centrato sulla nostra associazione Aloe attraverso la presentazione della pubblicazione in due volumi delle nostra Lettere di collegamento, era in realtà organizzato da un’altra associazione della diocesi, il Centro culturale San Rocco. Questa sera abbiamo cominciato un percorso in cui ancora abbiamo parlato di missionari, ma dal punto di vista storico. L’ho trovato davvero molto interessante, al punto che mi è sorta l’idea che potremo in futuro organizzare un nuovo percorso su alcune di queste figure nella storia, emerse questa sera, perché credo che meritino un approfondimento

Per gli incontri che verranno, seguiamo la locandina. Il prossimo appuntamento è per l’8 marzo, e si giocherà sul terreno dell’etnologia, come quello di stasera si è giocato sul terreno storico. Avremo con noi Mario Aliberti che ci parlerà di “Un mondo a parte: il mondo dei popoli indigeni”. Mario Aliberti è appena tornato dall’India dove è stato in una di quelle realtà indiane eccezionali di cui ha parlato anche il TG1, una festa che si celebra ogni 12 anni, la festa più grande del mondo: il TG 1 ha parlato di 20 milioni di persone presenti nell’area. E questo è solo il 29mo paese del sud del mondo che visita. Quindi Mario ha una grandissima esperienza e ci parlerà delle popolazioni indigene.

Seguirà il 22 marzo Maurizio  Governatori, un artista, ex docente di storia dell’arte. Lui realizza murales, sculture, quadri e ha fatto tantissime cose in Sud America in Nicaragua, dove si trova in questo momento, ma anche in Argentina, in Messico e in altri paesi. Il suo tema sarà “Da Fermo all’America Latina nel nome dell’arte della solidarietà”. A livello di persone singole, l’ultimo incontro sarà dedicato a Raffaella Milandri che non è fermana, ma è di San Benedetto del Tronto. È un’antropologa, una studiosa che si interessa dei popoli indigeni del Nord America e ha già pubblicato tanti libri, saggi e traduzioni di testi indigeni. A San Benedetto la conoscono, ma qua a Fermo non si è mai sentita parlare.

Poi avremo anche piccoli gruppi o piccole associazioni, che si occupano di solidarietà internazionale  a partire magari da iniziative private che sono riuscite a coinvolgere altri. C’è ad esempio un gruppo di Massignano, “La goccia fa il fiore”, sono delle persone di Massignano che, per tutta una storia particolare, si sono legate al Kenya. Non sono una grande realtà, ma sono una piccola realtà locale,  esempio di come può nascere un interesse per un altro paese e impegnarsi con le piccole forze che uno ha, per quest’altro paese.

Abbiamo una cosa simile, un po’ più strutturata, a Montegiorgio. Fernando Gentili ha fondato un’associazione, “Children’s Land” che lavora con il Ghana. Anche qui piccole realtà, ma insomma ecco, da Montegiorgio al Ghana. Ne abbiamo un’altra a Montegranaro. Roberto Trisciani che ha fondato un’associazione che lavoro con il Sud Sudan. E poi daremo spazio anche ad alcuni volontari di Emergency, in particolare ad un volontario di Porto sant’Elpidio che ora si trova in Afghanistan. Queste sono alcune realtà che noi abbiamo incontrato. Non si tratta di una indagine sul territorio di Fermo. Sono semplicemente persone e realtà che noi abbiamo incontrato nel nostro percorso. Ce ne saranno tante altre. Penso che sia utile che vengano conosciute.

Avremo anche un missionario della Consolata, Padre Richard, che è un tanzaniano. L’incontro con lui ha per titolo: “Essere missionari in Italia”  Nell’invitarlo gli ho specificato: “Tu sei un tanzaniano che sta in missione in Italia” e con questo incontro vogliamo far emergere una diversa dimensione della cooperazione fra le chiese.  Questo è un po’ tutto il percorso che proponiamo.

Fra l’altro ho incontrato questa mattina padre Richard anche per un altro problema: è morto un missionario della Consolata che noi di Aloe  non abbiamo conosciuto, ma che chi frequentava Santa Maria a Mare tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, era uno dei giovani missionari della comunità, come padre Remo Villa e come altri. Si chiama Padre Antonio Gabrielli ed aveva 76 anni. Siccome ci sono tante persone che frequentavano Santa Maria a Mare in quel periodo che lo conoscono, abbiamo organizzato una messa in suffragio di Padre Antonio a Santa Maria a Mare per venerdì 14 febbraio alle ore 19.00.  Fra l’altro, questo suggerimento ci è venuto da padre Stefano Camerlengo che sta in Costa d’Avorio. Ecco qui: questa sera abbiamo sentito di un missionario che ha impiegato 9 anni per andare in Asia, invece oggi con i missionari possiamo avere  un contatto diretto tramite WhatsApp, che è una cosa incredibile. Ieri sera padre Stefano Camerlengo su una chat scrive e riferisce questa triste notizia, e poi dice: sarebbe bello che organizzaste una messa, e stamattina lo abbiamo fatto. Fra l’altro stamattina praticamente sono stato io a comunicare la triste notizia a padre Richard perché loro non avevano aperto il telefono e non lo sapevano ancora. Voglio sottolineare che il suggerimento di questa messa che faremo ci è venuta dal dalla Costa d’Avorio. Questa è un po’ la dimensione che i missionari ci danno e che è davvero interessante.

Per tutto questo percorso abbiamo anche il Patrocinio sia del Comune che della Provincia di Fermo. Abbiamo chiesto questo patrocinio proprio perché noi parliamo del territorio di Fermo e del Fermano e parliamo di cittadini che sono missionari, ma restano cittadini. Inoltre questo percorso non sarà un percorso sui missionari, è un percorso di persone che vivono la dimensione della mondialità in vari aspetti: la storia, l’etnologia, l’arte, la solidarietà, eccetera. Questa sera sarebbe dovuto venire il sindaco per un breve saluto ma ha avuto un contrattempo e non ha potuto farlo. Verrà in un’altra occasione.

Grazie a tutti per la partecipazione e vi aspettiamo per i prossimi incontri.